
Le recenti pronunce della Corte di Cassazione rafforzano i diritti di chi subisce un incidente stradale, garantendo un risarcimento più completo e imponendo maggiori responsabilità a conducenti, assicurazioni ed enti custodi delle strade.
Le vittime di incidenti stradali trovano oggi una tutela rafforzata grazie a importanti novità giurisprudenziali. La Cassazione, con sentenze e ordinanze del 2025, ha chiarito che il risarcimento deve coprire ogni aspetto del danno – fisico, morale ed economico – e che alcuni ostacoli tradizionali vengono meno. Dalla distinzione tra danno biologico e danno morale, alla responsabilità oggettiva degli enti per le strade insicure, fino alla tutela immediata del passeggero trasportato, emergono principi che mirano a garantire un ristoro integrale e tempestivo. Non manca, tuttavia, l’attenzione ai principi di prova: per ottenere il giusto indennizzo occorre comunque dimostrare le perdite subite. Queste evoluzioni consolidano un caposaldo del nostro ordinamento civile: il dovere di non recare danno ad altri, e di riparare interamente il torto quando esso purtroppo si verifica.
Un importante passo avanti per le vittime è il riconoscimento esplicito di tutte le componenti del danno non patrimoniale subìto in un sinistro. In passato, infatti, si assisteva talvolta a liquidazioni parziali, dove il giudice risarciva solo il danno biologico – cioè l’invalidità fisica o psichica accertata dal medico legale – trascurando di motivare sul danno morale, ovvero la sofferenza interiore, il dolore e lo shock patiti dalla persona a causa dell’evento traumatico. Questo approccio riduttivo negava in sostanza alla vittima una parte essenziale del ristoro.
La Corte di Cassazione ha ribadito nel 2025 che una tale omissione è illegittima. Con un’ordinanza recente (Cass. civ., Sez. III, ord. n. 27102/2025) i giudici supremi hanno annullato una sentenza d’appello che aveva riconosciuto alla vittima solo l’invalidità permanente, senza menzionare in modo chiaro il turbamento emotivo derivato dall’incidente. È stato affermato che il risarcimento deve essere “pieno ed integrale”, comprendendo tutte le voci del danno non patrimoniale indicate dall’art. 2059 c.c. e dalla giurisprudenza:
Danno biologico: la lesione all’integrità psicofisica, documentata da un referto medico-legale (es. fratture, lesioni organiche, menomazioni funzionali), che si traduce in un’invalidità temporanea o permanente.
Danno morale: il dolore, la paura, l’angoscia e in generale la sofferenza soggettiva sopportata dalla vittima a seguito del fatto lesivo, spesso non quantificabile con esami clinici ma reale e meritevole di ristoro.
Ignorare il danno morale significa, secondo la Cassazione, lasciare senza compensazione una parte dell’offesa subita (“non risarcire completamente il pregiudizio”, si legge nella pronuncia). Già le Sezioni Unite n. 26972/2008 avevano chiarito che il danno non patrimoniale è una categoria unitaria che può includere più aspetti (biologico, morale, esistenziale), e il giudice di merito deve valutare e motivare adeguatamente su ciascuno. Nel caso deciso nel 2025, dunque, la Suprema Corte ha rinviato la causa alla Corte d’Appello affinché riliquidi il danno in modo completo, tenendo conto anche della sofferenza interiore della vittima. In termini pratici, ciò si traduce nell’applicazione delle cosiddette tabelle milanesi (oggi integrate nella Tabella Unica Nazionale per le macrolesioni): tali parametri prevedono già un incremento automatico per il dolore morale, ma il giudice deve sempre esplicitare se la somma riconosciuta copre anche questo aspetto e, se del caso, aggiustarla verso l’alto quando la specifica gravità del caso lo richiede. La conclusione è chiara: chi subisce un incidente ha diritto a essere risarcito non solo per le ferite visibili nel corpo, ma anche per le cicatrici invisibili nell’animo.
“Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?” scriveva amaramente Dante Alighieri (Purgatorio VI, 95) riferendosi all’inefficacia di norme non applicate. Oggi fortunatamente i principi ci sono e vengono fatti valere: i giudici richiamano all’ordine le corti di merito, affinché applichino pienamente le leggi a tutela del danneggiato.
Un’altra significativa evoluzione riguarda la responsabilità degli enti proprietari o gestori delle strade (come Comuni, Province, ANAS) per i sinistri causati da difetti della sede stradale – buche, ostacoli non segnalati, carenze strutturali. Tradizionalmente, per ottenere il risarcimento in questi casi il danneggiato doveva superare il cosiddetto “ostacolo dell’insidia o trabocchetto”: doveva cioè provare che il difetto stradale costituisse un pericolo invisibile e imprevedibile, tale da cogliere di sorpresa anche l’utente più attento. Questa costruzione derivava da un inquadramento della responsabilità nell’art. 2043 c.c. (responsabilità per colpa): solo se la buca era nascosta e non segnalata si poteva imputare all’ente una colpa per omissione di custodia o manutenzione. In caso contrario, il danneggiato veniva ritenuto l’unico responsabile per non aver evitato un ostacolo visibile.
Oggi questo approccio è in via di superamento grazie all’applicazione più rigorosa dell’art. 2051 c.c., che disciplina la responsabilità oggettiva da cose in custodia. La Cassazione, con un’ordinanza innovativa (Cass. civ., Sez. III, ord. n. 8450/2025), ha chiarito che chi subisce un incidente a causa di anomalie della strada non deve più dimostrare la “natura insidiosa” del pericolo: è sufficiente provare che il sinistro è stato causato dalla cosa custodita dall’ente (la strada, appunto, con la sua buca o difetto). In base all’art. 2051 c.c., infatti, il custode risponde dei danni causati dalla cosa che ha in gestione, salvo che provi il caso fortuito. Questo regime sposta l’attenzione sulla possibilità per il convenuto di liberarsi dimostrando eventi eccezionali, mentre il danneggiato non ha l’onere di provare la colpa altrui.
La pronuncia in esame segna un punto fermo: per ottenere il risarcimento è sufficiente dimostrare il nesso causale tra il difetto stradale e il danno subito, senza bisogno di provare anche la “invisibilità” o imprevedibilità di tale difetto. Viene così relegata definitivamente in soffitta la vecchia teoria dell’“insidia o trabocchetto”. Attenzione: ciò non significa che l’ente sia sempre e comunque responsabile; significa però che, una volta accertato che ad esempio una buca non segnalata ha fatto cadere un motociclista, sarà l’ente a dover provare che c’era un elemento imprevedibile ed estraneo (il fortuito) che lo esonera. Il caso fortuito può consistere nel fatto di un terzo o della natura, ma anche nel comportamento della vittima stessa quando questo assuma connotati di assoluta eccezionalità. La Cassazione infatti sottolinea che la valutazione della condotta imprudente del danneggiato deve tenere conto del dovere generale di ragionevole cautela (art. 1227 c.c.): quanto più il pericolo era prevedibile e superabile con l’ordinaria attenzione, tanto più la condotta imprudente inciderà nel concorrere a causare il danno, sino a poter escludere la responsabilità del custode nei frangenti in cui l’imprudenza del danneggiato sia stata l’unica vera causa dell’evento. Ad esempio, se un automobilista percorre una strada a velocità folli e fuori da ogni ragionevolezza, la sua condotta potrebbe configurare un fortuito tale da assorbire ogni altra causa. Tuttavia, nei casi ordinari di semplice distrazione o velocità solo moderatamente eccessiva, l’ente custode non può invocare la corresponsabilità altrui per sfuggire ai propri doveri.
La Terza Sezione civile ha applicato questi principi anche in vicende tragiche. In un caso del 2025 un grave incidente mortale era stato causato dall’assenza di una struttura di raccordo tra due viadotti autostradali. Nonostante uno dei conducenti coinvolti viaggiasse a 160 km/h (oltre il limite), la Cassazione ha ritenuto l’ANAS – ente gestore dell’infrastruttura – civilmente responsabile per le conseguenze del sinistro, poiché il difetto strutturale della strada ha inciso in modo determinante sull’evento (Cass. civ., Sez. III, ord. n. 8450/2025). In sostanza, una strada deve essere sicura anche rispetto a eventuali imprudenze degli utenti: se c’è una grave carenza (come una protezione mancante, un dosso non visibile, ecc.), l’ente ne risponde verso gli utenti danneggiati, pur potendo poi vedersi diminuire proporzionalmente il risarcimento dovuto qualora sia accertato un concorso di colpa significativo della vittima (art. 1227 c.c.). Questo orientamento, riassumibile nel principio “vulneratus ante omnia reficiendus” (il danneggiato va risarcito prima di tutto), rappresenta un forte monito agli enti pubblici: la sicurezza stradale non è optional, e chi gestisce le vie di circolazione deve mantenerle in condizioni tali da prevenire pericoli anche per gli utenti meno diligenti.
Un ulteriore fronte di novità a favore dei danneggiati è quello dei passeggeri trasportati, spesso vittime “innocenti” degli altrui errori. Immaginiamo di viaggiare come passeggero su un’auto che rimane coinvolta in uno scontro causato, poniamo, da un altro veicolo: il nostro conducente magari non ha alcuna colpa, ma noi riportiamo lesioni. In casi del genere, la legge – art. 141 del Codice delle Assicurazioni – consente al trasportato di agire direttamente per il risarcimento nei confronti dell’assicurazione del veicolo su cui era a bordo, senza dover aspettare l’accertamento di chi abbia ragione o torto tra i conducenti. È la cosiddetta azione diretta del terzo trasportato, pensata per garantire un ristoro rapido a chi, non avendo potere sulla guida, si trova suo malgrado a subire danni.
Su questo tema la giurisprudenza ha vissuto dibattiti: ci si chiedeva se l’azione fosse ammessa anche quando la responsabilità del sinistro è completamente a carico di un altro veicolo (diverso da quello su cui viaggiava il passeggero). Alcune corti, in passato, avevano dato un’interpretazione restrittiva, sostenendo che in tal caso il passeggero dovesse rivalersi solo verso il responsabile effettivo (e la sua compagnia assicurativa), perché la causa del danno non era riferibile al veicolo ospitante. La Cassazione, tuttavia, ha chiarito definitivamente la questione a favore dei danneggiati. Prima le Sezioni Unite (sent. n. 35318/2022) e poi una pronuncia recente di merito (Cass. civ., Sez. III, sent. n. 25033/2025) hanno stabilito che il passeggero può sempre esercitare l’azione diretta contro l’assicurazione del vettore su cui viaggiava, indipendentemente da chi sia stato ritenuto colpevole dell’incidente. L’unico limite è rappresentato dal caso fortuito in senso stretto, cioè da un fattore totalmente estraneo alla circolazione stradale (ad esempio un malore improvviso del conducente, un fenomeno naturale imprevedibile, un atto doloso terroristico): situazioni cioè in cui il sinistro non è riconducibile alla normale dinamica della circolazione e nemmeno indirettamente alla condotta di uno dei conducenti.
Confermando questa lettura estensiva della tutela, la Cassazione ha voluto dare concretezza alla finalità dell’art. 141 Cod. Ass.: evitare che il passeggero veda ritardato il proprio risarcimento a causa di lunghe e complesse dispute sull’attribuzione della colpa. In pratica, se Tizio viaggia con Caio e viene ferito in uno scontro causato da Sempronio, Tizio può chiedere subito i danni all’assicurazione di Caio (sul cui veicolo era trasportato), la quale dovrà pagare in tempi brevi. Saranno eventualmente le assicurazioni dei conducenti, in un secondo momento, a regolare i conti tra loro in base alle rispettive responsabilità (azione di rivalsa). Ma intanto il passeggero è stato ristorato tempestivamente. Questo meccanismo di protezione rafforzata rende effettivo il principio per cui prima di tutto viene il risarcimento del vulnerato: vulneratus ante omnia reficiendus, come sintetizzato dal motto latino ripreso dagli stessi commentatori.
Per i passeggeri dunque oggi vale una sorta di corsia preferenziale verso l’indennizzo. Lo Studio Legale MP ha assistito diversi clienti in qualità di trasportati che, grazie a questi principi, hanno ottenuto giustizia senza dover attendere l’esito di estenuanti cause tra conducenti. Si tratta di una garanzia ulteriore: chi sale come ospite su un veicolo può confidare che, in caso di disgrazia, la sua posizione sarà tutelata al di là delle questioni di colpa.
Accanto alle evoluzioni che facilitano il risarcimento, la Cassazione del 2025 ha anche ribadito alcuni importanti principi sulla necessità della prova in materia di danni patrimoniali. In particolare, con riferimento al lucro cessante – cioè la perdita di guadagni futuri causata dall’incidente – i giudici supremi hanno chiarito che non può essere liquidato automaticamente e senza riscontri oggettivi. Già da tempo la giurisprudenza riconosce che una lesione permanente che riduca la capacità lavorativa presume l’esistenza di un danno economico (specie se la vittima svolgeva un’attività produttiva di reddito). Tuttavia, per quantificare questo danno da mancato guadagno, non ci si può affidare a semplici ipotesi: serve che il danneggiato dimostri l’effettiva contrazione dei propri redditi a seguito del sinistro.
Con l’ordinanza n. 22706/2025, la Cassazione ha ribadito due punti fermi:
È legittimo, in caso di invalidità permanente significativa, presumere che vi sia un pregiudizio economico (il soggetto, menomato nelle sue abilità, verosimilmente avrà maggiori difficoltà a produrre reddito come prima).
La concreta entità del mancato guadagno va però provata con elementi specifici e documentali: ad esempio presentando le dichiarazioni dei redditi degli anni precedenti e successivi all’incidente, bilanci, buste paga o altri dati contabili che evidenzino una diminuzione.
In assenza di tali prove, il giudice non può liquidare il lucro cessante “a forfait” o in via meramente equitativa, perché – diversamente dal danno biologico – qui la legge richiede la dimostrazione di una perdita patrimoniale effettiva. Nel caso affrontato dalla Cassazione, la vittima (un agente di commercio) aveva riportato gravi lesioni e sosteneva di aver visto crollare i propri profitti negli anni seguenti. Tuttavia, non avendo prodotto in giudizio adeguate documentazioni contabili, la sua domanda di ulteriore risarcimento per lucro cessante è stata respinta. In altri termini: il danno patrimoniale futuro deve lasciare tracce nei numeri, altrimenti non può essere risarcito. Questo principio tutela sia il danneggiato meritevole (che potrà vedere riconosciuto fino all’ultimo euro di perdita, se porta le prove) sia il sistema, evitando indennizzi arbitrari per perdite solo presunte.
Dal panorama delle sentenze più recenti emerge un sistema in evoluzione verso un maggiore equilibrio, cioè un favore verso il danneggiato che ha subìto un torto. La persona ferita in un incidente stradale oggi può contare su una giurisprudenza che:
impone il risarcimento integrale di tutti i profili di danno (fisici, morali, relazionali ed economici) derivanti dal sinistro;
facilita l’ottenimento del ristoro, eliminando oneri probatori eccessivi quando non necessari (si pensi all’insidia stradale che non va più provata, o alla responsabilità presunta a favore del passeggero);
al tempo stesso, mantiene ferma la necessità di provare ciò che è ragionevolmente dimostrabile (come le perdite di reddito), per garantire decisioni fondate su dati oggettivi e preservare la serietà del sistema risarcitorio.
Queste tendenze rendono più concreta l’affermazione del diritto di ogni vittima di incidente ad avere giustizia: chi sbaglia paga – e paga tutto – mentre chi subisce non deve patire oltre il danno anche l’ingiustizia di una tutela monca o tardiva. Le massime corti vigilano affinché questo accada, correggendo interpretazioni restrittive e uniformando l’applicazione della legge sul territorio nazionale. Permane ovviamente la variabilità dei casi concreti, ma i principi guida sono ormai tracciati.
In conclusione, se sei rimasto coinvolto in un incidente stradale e temi di non ottenere il giusto risarcimento, sappi che l’ordinamento – anche grazie a queste recenti sentenze – offre strumenti solidi per tutelarti. Conviene affidarsi a professionisti esperti in materia, capaci di far valere tutti i tuoi diritti e massimizzare il risultato dell’azione legale.
Redazione - Staff Studio Legale MP