
Il concordato minore è una procedura concorsuale introdotta nel 2022 dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) per offrire sollievo ai debitori non fallibili (ossia esclusi dal fallimento o liquidazione giudiziale) in situazione di sovraindebitamento. Si tratta di uno strumento pensato per piccoli imprenditori, professionisti, imprenditori agricoli, start-up innovative nei primi anni e in generale per chi esercita attività economiche di dimensioni ridotte o non commerciali. Rientrano ad esempio l’artigiano o commerciante sotto le soglie di fallibilità, il libero professionista oberato dai debiti fiscali e professionali, l’ex socio che ha garantito obbligazioni societarie, ecc. In pratica, il concordato minore è accessibile a qualsiasi debitore sovraindebitato “non consumatore” e non soggetto alle procedure maggiori. Chi invece ha debiti personali da privato cittadino (senza legami con un’attività d’impresa) normalmente utilizzerà l’altra procedura dedicata, il piano di ristrutturazione del consumatore, che ha regole in parte diverse. Il concordato minore ha di fatto sostituito il vecchio “accordo di composizione” della Legge 3/2012, ampliandone la portata e adeguandolo ai principi europei di seconda opportunità. L’obiettivo dichiarato è favorire la continuità dell’attività economica o professionale del debitore meritevole, evitando soluzioni meramente liquidatorie: in altri termini, mantenere in vita l’impresa o lo studio professionale quando possibile, attraverso un accordo con i creditori che soddisfi tutti meglio di un fallimento. In casi eccezionali il concordato minore può avere anche una componente liquidatoria (ad esempio la vendita di alcuni beni non indispensabili), ma resta centrale la natura negoziale della procedura: non una chiusura dell’attività, bensì un suo risanamento concordato.
Il cuore del concordato minore è la proposta di un piano di ristrutturazione da parte del debitore, con l’ausilio di un Organismo di Composizione della Crisi (OCC) e sotto la supervisione del Tribunale. Il debitore, con l’aiuto di un professionista incaricato (gestore della crisi), predispone un piano dettagliato che indica come intende pagare i creditori, in che percentuale e in quali tempi. A differenza del piano del consumatore (dove decide tutto il giudice senza votazione), qui i creditori sono chiamati a votare la proposta: serve l’approvazione da parte della maggioranza dei crediti. In base all’art. 79 CCII, la proposta si considera approvata se ottiene il voto favorevole di creditori che rappresentano oltre il 50% dell’ammontare totale dei crediti aventi diritto di voto. In altre parole, occorre il “sì” di creditori che detengono almeno la metà + uno dei crediti chirografari (tenendo conto di eventuali esclusioni). È previsto inoltre un correttivo per evitare abusi: se un singolo grande creditore detiene più del 50% dei crediti (caso di creditore “dominante”, ad esempio l’Erario), allora è richiesta anche la maggioranza per numero di creditori favorevoli. Questo meccanismo garantisce che un solo creditore non decida da solo le sorti della proposta senza un minimo di consenso dagli altri. Un aspetto molto vantaggioso per il debitore è il silenzio-assenso: i creditori che non esprimono voto entro il termine stabilito sono considerati consenzienti. Ciò significa che l’inerzia dei creditori gioca a favore dell’approvazione: molti creditori, specie se di importi minori, potrebbero non partecipare attivamente al voto, e il loro silenzio vale come voto favorevole (come già avveniva nella Legge 3/2012). Ad esempio, se su 10 creditori solo 3 inviano il proprio voto (2 favorevoli e 1 contrario) e gli altri 7 restano silenti, il conteggio finale sarà di 9 voti a favore su 10. Questo espediente, confermato anche per i creditori pubblici dalle prassi amministrative, agevola enormemente il debitore onesto nel raggiungere la maggioranza necessaria. Una volta chiusa la votazione, l’OCC comunica l’esito e, in caso di approvazione, si passa alla fase di omologazione in tribunale. Il giudice fissa un’udienza in cui eventuali creditori dissenzienti o rimasti esclusi possono fare opposizione, dopodiché omologa l’accordo rendendolo vincolante per tutti i creditori (anche per chi ha votato contro o non ha partecipato). Durante l’omologazione il tribunale verifica il rispetto della legge e la fattibilità del piano. È interessante notare che il giudice può omologare il concordato minore anche contro il parere contrario di alcuni creditori rilevanti, purché la maggioranza sia stata raggiunta e il piano rispetti certe condizioni di legge. Ad esempio, per i debiti fiscali è previsto il cosiddetto cram down fiscale: il tribunale può approvare la riduzione e dilazione delle cartelle esattoriali anche senza il consenso formale dell’Agenzia delle Entrate, a condizione che la proposta garantisca al Fisco almeno quanto otterrebbe in una liquidazione. Questo principio, sancito dall’art. 80 CCII, è in linea con gli orientamenti della Cassazione (v. Cass. civ., Sez. I, ord. n. 5157/2025) e assicura che lo Stato non possa bloccare irragionevolmente una soluzione migliore per tutti. Se non vi sono opposizioni fondate, il concordato minore viene omologato e si apre la fase esecutiva del piano: il debitore, sotto la supervisione dell’OCC, dovrà adempiere agli impegni presi (versare le somme promesse, eventualmente liquidare i beni indicati, ecc.) secondo le scadenze concordate.
Il concordato minore offre numerosi vantaggi pratici a chi vi accede, rendendolo spesso preferibile ad altre vie. Anzitutto, sin dal momento in cui il tribunale apre la procedura (ammissibilità del ricorso), scattano importanti tutele: tutte le azioni esecutive individuali vengono sospese. Ciò significa blocco immediato di pignoramenti, fermi amministrativi, ipoteche giudiziali e altre aggressioni sul patrimonio del debitore. I creditori non possono più agire in autonomia, ma devono sottostare alle regole della procedura. Ad esempio, se l’azienda aveva macchinari pignorati o se il professionista aveva lo stipendio/pensione già impegnato da una cessione del quinto, tali prelievi vengono congelati: ogni risorsa torna nella disponibilità del debitore per essere gestita sotto l’ombrello del concordato. Questo dà un sollievo immediato: niente più chiamate minatorie dei recupero crediti, niente aste imminenti – tutto è sospeso e canalizzato nel piano concordatario. Inoltre, il piano può prevedere pagamenti parziali e dilazionati dei debiti, spesso con una significativa riduzione dell’importo complessivo da pagare. Non esiste una soglia minima fissa di soddisfazione: se la proposta offre ai creditori più di quanto avrebbero in una liquidazione, può essere anche molto ridotta (in alcuni casi piani con il 10% di rimborso ai chirografari sono stati approvati, quando il patrimonio disponibile era esiguo). La dilazione può estendersi su più anni in base alle effettive capacità di pagamento. Durante questo periodo, il debitore ha modo di riorganizzare le finanze, mantenere in funzione l’impresa o attività professionale (se prevista la continuità) e magari beneficiare di nuove entrate senza vedersele sottrarre dai vecchi creditori. Al termine dell’esecuzione del piano – che dura tipicamente pochi anni – il tribunale emette il decreto di esdebitazione, ossia la cancellazione definitiva di tutti i debiti residui non pagati. Questo è il traguardo fondamentale: il debitore ottiene un “fresh start”, libero dai debiti passati e dalle segnalazioni negative. Potrà così ricominciare senza l’incubo delle esposizioni pregresse. Va sottolineato che l’esdebitazione interviene a beneficio del debitore persona fisica; i garanti o coobbligati dei debiti (ad esempio un fideiussore estraneo alla procedura) rimangono invece obbligati verso i creditori per la parte non pagata, a meno che anch’essi non attivino una propria procedura di sovraindebitamento. In ogni caso, per l’imprenditore o professionista che accede al concordato minore, i vantaggi sono notevoli: potrà salvare la propria attività (se il piano prevede di proseguirla), conservare i beni essenziali (nei limiti del possibile, ad esempio gli strumenti di lavoro non vengono toccati) e soprattutto uscire dall’ombra dei debiti pregressi. Anche il profilo reputazionale ne beneficia: con l’omologa del concordato e il successivo decreto di chiusura, vengono meno le iscrizioni pregiudizievoli (pignoramenti, procedure in corso) e il debitore può chiedere la cancellazione dalle banche dati dei cattivi pagatori, dimostrando di aver risolto la propria situazione secondo la legge.
Accedere al concordato minore non è un “diritto automatico”: il legislatore richiede che il debitore versi in una condizione di sovraindebitamento autentica e che sia meritevole, ovvero in buona fede. La meritevolezza è uno dei pilastri per usufruire di qualunque procedura di sovraindebitamento. In passato questo concetto era applicato in modo piuttosto rigido: bastavano errori di gestione o un’indebitamento imprudente per vedersi negare l’accesso ai benefici. Oggi, invece, la riforma ha reso il criterio più oggettivo e indulgente verso le semplici imprudenze. La legge (art. 69 CCII) richiede in negativo l’assenza di frode, dolo o colpa grave nella formazione dell’indebitamento. Ciò significa che non si viene esclusi solo perché si è accumulato troppo debito o perché si sono fatte spese discutibili: conta piuttosto che il debitore non abbia deliberatamente abusato del credito né violato i doveri di correttezza in modo intenzionale o gravemente negligente. La giurisprudenza del 2025 conferma questo approccio più flessibile e sostanziale. Emblematica, ad esempio, una recente pronuncia campana (Tribunale di Nola, sent. 23 ottobre 2025) che ha evidenziato come, ai fini del giudizio di meritevolezza per l’accesso all’esdebitazione dell’incapiente, vada attenuato il rigore del passato: solo condotte gravemente imprudenti o fraudolente devono precludere la procedura, mentre “la mera condizione di eccessiva esposizione debitoria, in quanto tale, non costituisce causa ostativa” all’ammissione. In altre parole, errore non è sinonimo di colpa grave: chi si è indebitato oltre misura per leggerezza potrà comunque sperare nel concordato minore, se non ci sono prove di comportamenti dolosi o inganni ai creditori. D’altro canto, permane un limite invalicabile: chi ha tenuto condotte disoneste o illegali finalizzate a frodare i creditori non potrà beneficiare della seconda opportunità finché non avrà risposto delle proprie azioni. Su questo punto la linea resta severa. Come ha ribadito la Corte di Cassazione (Cass. civ., Sez. I, sent. n. 18517/2025), una condanna per reati come la bancarotta fraudolenta costituisce motivo ostativo all’esdebitazione: in tale decisione la Suprema Corte ha chiarito che anche una sentenza di patteggiamento per bancarotta va equiparata a una condanna, impedendo il “perdono” dei debiti finché il debitore non ottenga la riabilitazione penale. Il messaggio è chiaro: la legge sul sovraindebitamento aiuta soltanto chi è sinceramente in difficoltà e ha agito senza malafede, mentre chi ha frodato creditori o dissipato patrimonio dolosamente non avrà accesso ai benefici. Questo equilibrio – clemenza verso il debitore sfortunato ma onesto, rigore verso il debitore scorretto – garantisce che il concordato minore realizzi la sua funzione di strumento etico di risanamento e non diventi un modo per furbi di azzerare debiti ingiustamente. Ogni caso viene valutato con attenzione dai giudici, ma l’orientamento attuale è di favor debitoris: in caso di dubbio, si tende ad ammettere il debitore alla procedura, subordinando poi l’esdebitazione al comportamento collaborativo e trasparente durante tutta la fase di esecuzione del piano.
Quando un piccolo imprenditore o professionista si trova schiacciato dai debiti, agire tempestivamente attivando un concordato minore può fare la differenza. Non solo perché aumenta le chance di salvare l’attività (più si attende, più peggiorano liquidità e rapporti con i creditori), ma anche perché evita che siano i creditori a prendere l’iniziativa con soluzioni peggiori per il debitore. Infatti, le norme attuali prevedono che, in alcuni casi, un creditore possa chiedere al tribunale di aprire d’ufficio una liquidazione controllata dei beni del debitore insolvente. Questo è un elemento di novità rispetto al passato: se il debitore rientra tra i soggetti sovraindebitati (non fallibili) e non si attiva, un creditore potrebbe provocare una procedura concorsuale di liquidazione dei suoi beni. Ad esempio, il Tribunale di Verona (sent. 22 marzo 2025) ha chiarito che è legittimo per un creditore istare per l’apertura della liquidazione controllata nei confronti di un ex imprenditore cessato da oltre un anno, quando il credito è sorto dopo la chiusura dell’attività. In tal caso il debitore sperava forse di sottrarsi alle procedure concorsuali (essendo trascorso il termine di un anno dalla cancellazione dal Registro Imprese che impedisce la liquidazione giudiziale), ma il giudice ha comunque accolto l’istanza del creditore nell’ambito del sovraindebitamento. Questo esempio dimostra che restare passivi non tutela il debitore: se ci sono beni aggredibili o situazioni di insolvenza protratta, i creditori potrebbero far scattare una procedura liquidatoria, nella quale il debitore subisce la vendita forzata del patrimonio e rischia di non ottenere alcun esdebitazione (specie se non soddisfa i requisiti di meritevolezza in sede di chiusura). Attivarsi volontariamente col concordato minore, invece, permette di prendere il controllo della situazione: si può negoziare un piano favorevole, includere clausole per conservare gli asset strategici (come i macchinari necessari all’impresa o l’abitazione principale se funzionale alla continuità), e soprattutto condurre la procedura verso un esito liberatorio. In caso di mancata attivazione o di fallimento delle trattative, il debitore ha comunque un’ultima rete di salvataggio nella liquidazione controllata da sovraindebitamento, che può essere chiesta direttamente (o che spesso si apre automaticamente se il concordato non viene omologato). Anche la liquidazione controllata conduce alla cancellazione dei debiti residui, ma è una soluzione di ultima istanza, dove l’impresa viene liquidata integralmente. Dunque, è nell’interesse dell’imprenditore in difficoltà tentare prima la carta del concordato minore, che è orientato al recupero e non alla distruzione del valore. Come recita un famoso verso letterario, «e quindi uscimmo a riveder le stelle»: l’uscita dal “girone” dei debiti è possibile, ma occorre imboccare il sentiero giusto in tempo utile. Il concordato minore rappresenta proprio quel sentiero, illuminando la via d’uscita dalla crisi e permettendo al debitore di tornare a vedere la luce di un futuro senza debiti.
In conclusione, il concordato minore si rivela uno strumento potente e innovativo a disposizione delle piccole imprese e dei professionisti in crisi. Grazie a questa procedura, chi è oppresso dai debiti può evitare la fine ingloriosa dell’attività, sostituendo al fallimento un percorso guidato di ristrutturazione e risanamento. La combinazione di norme più eque (come il silenzio-assenso e la possibilità di includere i debiti fiscali) e di un orientamento giurisprudenziale favorevole al fresh start sta già producendo risultati incoraggianti: tribunali come Verona, Roma, Milano applicano il concordato minore per dare respiro a imprese familiari, artigiani e partite IVA che altrimenti sarebbero spacciati. Certo, il percorso richiede impegno, trasparenza e il rispetto delle regole – non è un condono “a cuor leggero”, ma un accordo rigoroso che impone anche sacrifici. Eppure, per l’imprenditore onesto che vuole salvarsi dai debiti, i benefici superano di gran lunga i costi: protezione immediata dalle azioni esecutive, riduzione dell’esposizione debitoria, mantenimento dei beni essenziali e, al termine, la libertà da ogni pendenza passata. Un futuro senza debiti, che sembrava un miraggio, può diventare realtà concreta mediante gli strumenti offerti dalla legge. Nessuno dovrebbe vergognarsi di chiedere aiuto di fronte alle difficoltà finanziarie: il concordato minore esiste proprio per dare una seconda chance a chi è caduto, affinché possa rialzarsi e tornare produttivo.
Affrontare un concordato minore o un’altra procedura di sovraindebitamento è un compito complesso, ma con la giusta assistenza può diventare un percorso risolutivo. Rivolgersi a professionisti esperti è fondamentale per tutelare al meglio i propri interessi. Se la tua impresa o la tua attività professionale è schiacciata dai debiti, contatta subito lo Studio Legale MP di Verona per una consulenza personalizzata. Valuteremo insieme la tua situazione e ti aiuteremo a individuare la soluzione più adatta – che sia un concordato minore, un piano del consumatore o una liquidazione controllata – guidandoti passo dopo passo lungo tutta la procedura
Redazione - Staff Studio Legale MP