
Il caregiver familiare è il parente (o convivente) che si prende cura, in modo continuativo e gratuito, di un familiare non autosufficiente o con disabilità grave. Non si tratta di una figura professionale retribuita, ma di una persona comune – spesso un genitore, un figlio, un coniuge o un fratello – che dedica tempo ed energie per assistere un proprio caro invalido nelle attività quotidiane. In Italia questo ruolo coinvolge milioni di cittadini, rappresentando il pilastro invisibile del welfare familiare. «Non nobis solum nati sumus» (non siamo nati solo per noi stessi), diceva Cicerone: i caregiver incarnano quotidianamente questo principio di solidarietà, anteponendo il benessere altrui ai propri bisogni. Eppure, per lungo tempo il loro impegno è stato considerato un fatto “privato”, con scarsa attenzione da parte del legislatore. Solo di recente si è iniziato a parlare dei diritti del caregiver familiare, riconoscendone l’importanza sociale e la necessità di tutele specifiche.
Pur in assenza di una legge organica dedicata, il nostro ordinamento prevede alcune misure a sostegno di chi assiste familiari disabili, soprattutto in ambito lavorativo. La normativa principale di riferimento è la Legge 5 febbraio 1992 n. 104, che all’art. 33 riconosce ai lavoratori dipendenti che assistono persone con handicap grave (art. 3 comma 3 della stessa legge) il diritto a permessi retribuiti: tipicamente, tre giorni di permesso mensile retribuito coperti dall’INPS, frazionabili anche in ore. Inoltre, il d.lgs. 151/2001 prevede il congedo straordinario retribuito di due anni, fruibile una sola volta nella vita lavorativa, per assistere un familiare con disabilità grave (convivente). Durante questo congedo il lavoratore mantiene il posto e matura contributi figurativi ai fini pensionistici. Accanto a queste misure principali:
Esonero dai turni notturni: chi assiste un familiare disabile convivente ha diritto a essere esonerato dal lavoro notturno. La Cassazione ha chiarito che tale diritto vale anche se la disabilità del familiare non è certificata come “grave” ai sensi della Legge 104【Cass. civ., ord. n. 12649/2023】. Ciò significa che il datore di lavoro non può imporre turni di notte al caregiver, indipendentemente dalla percentuale d’invalidità o dalla gravità formale dell’handicap del congiunto assistito.
Scelta della sede di lavoro: sempre la Legge 104/1992 prevede che il lavoratore che assiste un familiare con handicap grave abbia in alcuni casi diritto di scegliere, ove possibile, una sede di lavoro più vicina al domicilio dell’assistito e di rifiutare trasferimenti lontani.
Flessibilità oraria e smart working: recenti interventi legislativi hanno incentivato forme di lavoro flessibile per venire incontro alle esigenze di conciliazione. Ad esempio, il d.lgs. 105/2022 (attuativo della direttiva UE sul work-life balance) ha rafforzato il diritto dei caregiver di chiedere modalità di lavoro agili o orari adattati. Anche se queste misure non garantiscono automaticamente il risultato, impongono al datore di valutare con cura le richieste di modifica dell’orario o di smart working avanzate dal caregiver.
Nonostante queste tutele, molte famiglie si sono scontrate con rigidità e ostacoli: richieste di permessi malviste in azienda, difficoltà a ottenere cambi turno, scarsa sensibilità da parte di dirigenti e colleghi. Per questo la battaglia per i diritti dei caregiver è approdata anche nelle aule di giustizia, generando una serie di pronunce innovative a tutela di chi assiste i più deboli.
Un campo cruciale di recente evoluzione è quello della tutela antidiscriminatoria applicata ai caregiver. Fino a poco tempo fa, infatti, le norme antidiscriminazione sul lavoro (d.lgs. 216/2003, attuativo della direttiva 2000/78/CE) erano interpretate come riferite solo alle discriminazioni subìte direttamente dai lavoratori disabili. Oggi, grazie a una nuova sensibilità giurisprudenziale, si riconosce che anche il caregiver familiare può essere vittima di discriminazione indiretta sul lavoro a causa delle esigenze di assistenza. Si parla di discriminazione “per associazione”, concetto sviluppato dalla giurisprudenza comunitaria: il trattamento svantaggioso colpisce il lavoratore non perché egli stesso disabile, ma in quanto legato a una persona disabile. Un esempio tipico è il caso del dipendente costretto a turni o trasferimenti incompatibili con la cura del figlio disabile, pur essendoci alternative disponibili.
Proprio su questo tema l’Italia ha recentemente svolto un ruolo pionieristico. Con un’ordinanza innovativa, la Corte di Cassazione ha affrontato il caso di una dipendente dell’ATAC di Roma, madre di un bambino gravemente disabile, alla quale l’azienda aveva negato l’assegnazione a un turno di lavoro diurno fisso. La lavoratrice aveva richiesto un orario compatibile con le terapie pomeridiane del figlio, ma l’azienda si era opposta, sostenendo di non poterle riconoscere un trattamento di favore rispetto agli altri dipendenti. La Cassazione – rilevato che altri colleghi con limitazioni di salute proprie avevano ottenuto turni agevolati – ha ritenuto che la situazione prospettata configurasse una possibile discriminazione indiretta fondata sulla disabilità “per associazione”. Con l’ordinanza interlocutoria n. 1788/2024, depositata il 17 gennaio 2024, la Suprema Corte ha sospeso il giudizio e rimesso la questione alla Corte di Giustizia UE【Cass. civ., Sez. IV, ord. n. 1788/2024】, ponendo un quesito fondamentale: le tutele contro le discriminazioni per disabilità (previste dal diritto UE) si applicano anche a chi, pur non essendo disabile, assiste una persona con disabilità?
La risposta è giunta da Lussemburgo pochi mesi dopo ed è storica. Con sentenza 11 settembre 2025, causa C-38/24, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha affermato in modo chiaro che sì, il divieto di discriminazione si estende anche al caregiver【Corte di Giustizia UE, sent. 11/09/2025 (C-38/24)】. In base al principio di parità di trattamento e alla direttiva 2000/78/CE, uno Stato membro deve proteggere il lavoratore che subisce svantaggi sul lavoro a motivo della disabilità del familiare assistito. Ciò significa che datori di lavoro e giudici nazionali dovranno d’ora in avanti valutare con attenzione se certe decisioni (come rifiutare un part-time, imporre un trasferimento lontano, negare modifiche di turno) possano costituire discriminazione indiretta verso il caregiver, alla luce dell’impatto sproporzionato che hanno su chi assiste un disabile rispetto agli altri lavoratori. Questa pronuncia epocale allinea l’Italia ai Paesi più avanzati in materia di discriminazione by association, ponendo le basi per una tutela più ampia. È importante notare che già prima del verdetto UE alcuni tribunali italiani avevano iniziato a riconoscere casi di discriminazione verso caregiver, ma ora c’è un riferimento vincolante valido in tutta l’Unione.
Oltre al caso appena citato, vi sono altre pronunce significative – emanate tra il 2023 e il 2025 – che delineano un quadro di tutele crescenti per i caregiver familiari, soprattutto in ambito lavorativo. Ecco alcuni punti chiave stabiliti dalla giurisprudenza più recente:
Esonero dal lavoro notturno senza requisito di gravità: La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 12649/2023, ha confermato che il caregiver che assiste un familiare disabile convivente ha diritto a rifiutare i turni di notte, anche se il familiare non è riconosciuto in situazione di “handicap grave” ai sensi della Legge 104. Questa decisione amplia la platea dei beneficiari dell’esonero, privilegiando la sostanza (le concrete esigenze di assistenza) sulla forma (il grado burocratico di disabilità)【Cass. civ., ord. n. 12649/2023】.
Obbligo di accomodamento ragionevole: È sempre più ribadito il dovere del datore di lavoro di esplorare soluzioni organizzative alternative prima di adottare misure punitive o espulsive nei confronti di lavoratori in situazione di difficoltà. Ad esempio, la Cassazione con sentenza n. 24994/2025 ha stabilito che un licenziamento per sopravvenuta inidoneità fisica (quando un lavoratore diventa disabile o non può più svolgere le mansioni) è legittimo solo se l’azienda prova di non avere altre mansioni o adattamenti possibili per ricollocarlo【Cass. civ., sent. n. 24994/2025】. Questo principio, pur riferito al lavoratore disabile, indirettamente rafforza anche la posizione del caregiver: un datore deve dimostrare di aver tentato accomodamenti (es. cambio mansioni, orario ridotto, smart working) anche per consentire al caregiver di conciliare lavoro e assistenza, prima di negare tali richieste.
Divieto di discriminazione indiretta del caregiver: Come già approfondito, la Cassazione (ord. n. 1788/2024) e la Corte UE (sent. C-38/24 del 2025) hanno sancito che trattamenti solo apparentemente neutrali (come rigidi regimi di turnazione, trasferimenti, orari impossibili) possono costituire discriminazione vietata se penalizzano in modo sproporzionato i lavoratori che assistono disabili. Questo equipara la tutela del caregiver a quella tradizionalmente riconosciuta al lavoratore disabile stesso, almeno sul piano dell’eguaglianza di opportunità.
Queste pronunce segnano un cambiamento di paradigma: il diritto non considera più l’assistenza familiare come un fatto privato estraneo ai rapporti di lavoro, ma come una condizione meritevole di considerazione nelle dinamiche occupazionali. In pratica, il messaggio ai datori di lavoro è chiaro: bisogna adottare flessibilità e accomodamenti per includere i caregiver, altrimenti si rischiano cause legali e condanne per comportamento discriminatorio o illegittimo. Dal punto di vista del caregiver, invece, queste sentenze rappresentano importanti strumenti di tutela, da far valere in sede di contrattazione e, se necessario, davanti al giudice. Sapere di avere diritto, ad esempio, a un orario compatibile con le cure del proprio caro, o di potersi opporre a un trasferimento punitivo, può fare la differenza nel mantenere il posto di lavoro senza rinunciare al ruolo di assistente familiare.
Nonostante i notevoli passi avanti giurisprudenziali, in Italia manca ancora una legge quadro nazionale che riconosca e supporti pienamente il caregiver familiare. Attualmente i diritti e i benefici sono frammentati in varie norme (permessi 104, congedi, misure regionali) e restano esclusi importanti aspetti, soprattutto sul piano economico e previdenziale. Molti caregiver, dovendo ridurre o lasciare il lavoro per assistere i propri cari, si trovano in difficoltà finanziarie e con prospettive pensionistiche compromesse, senza che vi sia un adeguato “paracadute” statale.
Da anni si discute in Parlamento di una riforma organica. Vari disegni di legge sono stati presentati, volti a riconoscere ufficialmente la figura del caregiver familiare e a prevedere forme di sostegno. Tra le misure ipotizzate ricorrono: un’indennità economica mensile per i caregiver non lavoratori (o che assistono a tempo pieno un disabile grave), la copertura di contributi figurativi pensionistici per i periodi dedicati alla cura, servizi di sollievo e formazione, e agevolazioni sul lavoro (come il diritto al part-time reversibile o al lavoro agile). Tuttavia, nessuna proposta ha finora completato l’iter legislativo, anche a causa di costi e platee da definire.
Un impulso recente è arrivato con la Ministra per le Disabilità Alessandra Locatelli, che ha annunciato un nuovo disegno di legge governativo. Le anticipazioni trapelate in novembre 2025 indicano però un approccio graduale: si prevede un sostegno economico a partire dal 2027 limitato ai caregiver conviventi con la persona assistita, che prestino almeno 91 ore settimanali di cura e con reddito familiare (ISEE) sotto 15.000 euro. Per questi pochi casi sarebbe introdotto un assegno mensile (quantificato in circa 500 euro), mentre per tutti gli altri caregiver il ddl offrirebbe solo riconoscimento formale e alcuni supporti non monetari (ad esempio percorsi formativi, orientamento ai servizi, forse permessi aggiuntivi non retribuiti). Questa impostazione, restrittiva nei requisiti, ha già sollevato critiche da parte delle associazioni: si teme che gran parte dei caregiver rimarranno esclusi dai benefici concreti, mantenendo il lavoro di cura sulle sole loro spalle senza alcun sollievo finanziario. Al momento, la bozza di legge dovrebbe approdare in Consiglio dei Ministri nel 2026 per poi iniziare l’iter parlamentare: l’esito non è scontato, ma il dibattito pubblico acceso indica che il tema non potrà più essere ignorato a lungo.
Nel frattempo, alcune Regioni utilizzano i fondi statali per i caregiver (istituiti con le leggi di bilancio degli ultimi anni) per erogare bonus o assegni di sollievo alle famiglie con disabili gravi. L’entità e le modalità variano sul territorio, creando disuguaglianze: ad esempio, alcune regioni distribuiscono contributi di qualche migliaio di euro annui a chi assiste 24 ore su 24 un congiunto non autosufficiente, altre finanziano progetti di assistenza domiciliare indiretta o servizi di respiro. Questi interventi, pur utili, non sostituiscono però una disciplina nazionale organica.
Il riconoscimento giuridico del caregiver familiare è dunque in graduale evoluzione. Se fino a pochi anni fa il tema era quasi assente dal panorama legislativo, oggi si intravedono segnali concreti di cambiamento: la giurisprudenza sta facendo da apripista, estendendo ai caregiver tutele che colmano (in parte) le lacune normative, e il legislatore è sollecitato ad intervenire in modo sistematico. Chi assiste un familiare fragile svolge un compito di altissimo valore sociale, che merita di essere tutelato sia con diritti sul lavoro (per conciliare vita lavorativa e cura) sia con misure di sostegno economico e previdenziale (per evitare che il caregiving spinga le famiglie in povertà o penalizzi irreversibilmente la carriera di chi assiste).
Come scrisse la poetessa Emily Dickinson, «Se potrò impedire a un cuore di spezzarsi, non avrò vissuto invano». Ogni giorno, i caregiver familiari in Italia “impediscono il cuore di spezzarsi” a tante persone fragili: alleviano sofferenze, garantiscono dignità e qualità di vita ai loro cari, sopperendo spesso alle carenze dello Stato. Non devono essere lasciati soli. Il diritto sta iniziando a riconoscere il loro ruolo, ma molto resta da fare perché dalle sentenze e dai principi si passi a una tutela concreta per tutti.
Redazione - Staff Studio Legale MP