
L’amministrazione di sostegno è lo strumento giuridico pensato per assistere chi si trova in condizioni di fragilità, affiancandogli un tutore senza privarlo totalmente della capacità di decidere. Nel 2025 la giurisprudenza italiana ha tracciato confini più netti a tutela dell’autonomia personale: la Cassazione e la Corte Costituzionale hanno stabilito che il sostegno legale non va mai oltre il necessario, riconoscendo dignità e diritti intangibili al beneficiario. Questo articolo analizza le ultime sentenze e novità normative in materia, evidenziando come il sistema di protezione dei soggetti deboli stia evolvendo per garantire un equilibrio tra cura e autodeterminazione.
Un aiuto “su misura” per le persone fragili
“Hominum causa omne ius constitutum est” – ogni legge è istituita per il bene degli esseri umani. Questo antico principio latino riecheggia con forza nelle più recenti decisioni in materia di amministrazione di sostegno, sottolineando la finalità ultima di questo istituto: servire la persona fragile, non sostituirvisi. Introdotta nell’ordinamento con la Legge 6/2004, l’amministrazione di sostegno è nata per affiancare chi, a causa di un’infermità fisica o psichica, non è in grado – temporaneamente o permanentemente – di provvedere ai propri interessi. A differenza dell’interdizione (ormai residuale) e dell’antica inabilitazione, questa misura è pensata come flessibile e personalizzata, limitata ai soli atti che il beneficiario non può compiere da solo. In altre parole, è un vestito cucito su misura dei bisogni individuali, destinato a proteggere senza opprimere. Il ruolo dell’amministratore di sostegno, spesso un familiare, è infatti quello di rappresentare o assistere la persona in specifiche decisioni, senza annullarne la capacità di agire al di là di quanto strettamente necessario.
Autonomia e dignità del beneficiario al centro
Le corti italiane, nel corso del 2025, hanno messo l’accento sul valore primario dell’autodeterminazione di chi vive una situazione di fragilità. Con l’ordinanza n. 5088 del 26 febbraio 2025, la Corte di Cassazione (Sez. I civ.) ha segnato un punto di svolta: ha annullato la nomina di un amministratore di sostegno disposta in assenza di reali incapacità decisionali, ribadendo che non basta una generica situazione di difficoltà o sudditanza psicologica per giustificare l’attivazione della misura. In quel caso un figlio adulto, seppur emotivamente dipendente dalla madre, non aveva dimostrato alcuna incapacità di gestire i propri interessi; imporre un amministratore sarebbe stata una indebita compressione della sua libertà personale. La Cassazione ha quindi affermato con forza che l’amministrazione di sostegno non può essere imposta “paternalisticamente”: va applicata solo se realmente necessaria, altrimenti viola i diritti fondamentali della persona, in primis il diritto all’autodeterminazione e alla dignità. Su questa linea si pone anche la successiva ordinanza n. 6584 del 12 marzo 2025 (Cass. civ., Sez. I), che ha accolto il ricorso di un anziano cui era stato assegnato un amministratore contro la sua volontà. Pur riconoscendo una menomazione fisica (difficoltà nel parlare) e qualche imprudenza nella gestione economica, i giudici hanno ritenuto che l’uomo fosse ancora capace di decidere per sé con opportuni supporti, censurando la decisione precedente che lo dichiarava “totalmente invalido”. Anche spendere tutta la propria pensione senza risparmiare – hanno precisato – non è di per sé un motivo sufficiente per limitare la capacità di agire di qualcuno: finché una persona è in grado di intendere e volere, le scelte di vita, anche se discutibili, vanno rispettate. In queste pronunce, la Suprema Corte richiama espressamente l’art. 2 della Costituzione e i principi sanciti dalla Corte Costituzionale: trasformare in incapace un individuo che, con adeguati mezzi, può compiere le proprie scelte significa tradire la sua dignità intrinseca. “Summum ius, summa iniuria” – l’applicazione eccessiva della legge può diventare la massima ingiustizia, soprattutto se finisce per soffocare, anziché sostenere, la persona che si voleva tutelare.
Strumenti alternativi e uso della tecnologia
Un aspetto innovativo emerso dalle sentenze del 2025 è l’attenzione verso le soluzioni alternative capaci di ridurre o ritardare la necessità di un amministratore di sostegno. La Cassazione, nell’ord. n. 6584/2025 citata, ha criticato il giudice di merito per non aver considerato se la disabilità fisica del beneficiario potesse essere superata tramite l’uso di strumenti tecnologici o ausili. Oggi molte persone con disabilità comunicative o motorie riescono a gestire in autonomia la propria vita grazie a tecnologie assistive, app, firma digitale e altri supporti: la legge deve tenerne conto, favorendo l’inclusione digitale anziché procedere subito a limitare la capacità d’agire. Emblematico in tal senso è l’intervento della Corte Costituzionale: con sentenza n. 3/2025, depositata il 23 gennaio 2025, la Consulta ha dichiarato illegittima la norma che impediva a una persona gravemente disabile di utilizzare la firma digitale per sottoscrivere una lista elettorale. In quel caso, un elettore con disabilità motoria non poteva apporre materialmente la firma autografa a sostegno di una candidatura: la Corte ha sancito che il diritto di partecipare alla vita civile e politica non può essere negato a causa di un mero formalismo, quando la tecnologia offre strumenti equivalenti. Questa pronuncia, pur riguardando un ambito diverso, lancia un messaggio chiaro e coerente con lo spirito dell’amministrazione di sostegno: adottare ogni accorgimento per rendere la persona con disabilità protagonista attiva, evitando sostituzioni inutili. Il giudice tutelare, prima di nominare un amministratore, è dunque tenuto a verificare concretamente se la rete familiare, i servizi sociali o gli ausili tecnici disponibili possano sopperire alle difficoltà del soggetto. Solo quando anche con tali aiuti l’interessato non riesce a curare da solo i propri affari scatta la necessità di un intervento sostitutivo mirato.
La figura dell’amministratore e i limiti dell’intervento
Quando l’amministrazione di sostegno si rivela davvero indispensabile, deve comunque essere delineata nel rispetto della vita e delle scelte del beneficiario. Il decreto di nomina dell’amministratore, emesso dal giudice tutelare, specifica puntualmente i compiti autorizzati e la durata delle funzioni, secondo il principio del “minimo mezzo”: limitare la capacità di agire solo sugli atti che la persona non è effettivamente in grado di compiere. Ad esempio, l’amministratore potrà essere incaricato di gestire il patrimonio o di prestare consenso a trattamenti sanitari solo se e nella misura in cui il beneficiario non abbia autonomia in tali ambiti. Resta fermo che alcuni atti personalissimi – come il testamento, il matrimonio, il voto – non possono mai essere delegati ad altri. Le recenti sentenze ribadiscono l’obbligo di modellare l’intervento in modo proporzionato e temporaneo, rivalutando periodicamente la persistenza delle condizioni di infermità. Nel solco di questa concezione “sartoriale” del sostegno legale, la Cassazione ha anche affrontato aspetti procedurali: con l’ord. n. 15189/2025 del 6 giugno 2025 (Sez. I civ.), è stato chiarito che i provvedimenti riguardanti gli amministratori di sostegno – se impugnati – devono seguire un iter preciso, garantendo rapidità e competenza specializzata (il reclamo va proposto alla Corte d’Appello, organo dotato della necessaria sensibilità in materia di diritti della persona). Si tratta di indicazioni tecniche che mirano a rendere la tutela giurisdizionale più efficiente, evitando ritardi o incertezze che potrebbero nuocere ai soggetti deboli coinvolti.
Verso una tutela più inclusiva e rispettosa
La direzione tracciata dalla giurisprudenza recente è chiara: l’amministrazione di sostegno dev’essere l’extrema ratio, un istituto da applicare con cautela e precisione, sempre orientato a massimizzare la libertà residua della persona. “Tu diventi responsabile per sempre di ciò che hai addomesticato”, ricorda una celebre frase de Il Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry: chi si fa carico di assistere una persona fragile – sia esso un familiare, un amministratore di sostegno professionale o lo stesso Stato – assume un impegno di cura che deve essere guidato dall’amore e dal rispetto per l’individualità di quella persona. Nell’attuale contesto sociale, caratterizzato da una popolazione sempre più anziana e dall’aumento di situazioni di non autosufficienza, è fondamentale che il diritto sappia evolvere verso modelli di assistenza più inclusivi e partecipativi. Le famiglie spesso chiedono: “Fino a che punto possiamo aiutare il nostro caro senza togliergli indipendenza?”; oggi possiamo rispondere che l’ordinamento offre strumenti equilibrati proprio per questo scopo. Dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (ratificata dall’Italia) discende un imperativo: riconoscere le persone con disabilità come soggetti attivi, titolari di uguali opportunità e libertà. L’amministrazione di sostegno, se ben applicata, è in grado di realizzare tale obiettivo, permettendo all’individuo fragile di continuare a vivere la propria vita, prendere decisioni e partecipare alla società con il supporto necessario ma senza essere espropriato del tutto della propria voce. In definitiva, le nuove pronunce e riforme non fanno che confermare un principio etico e giuridico di fondo: la migliore tutela è quella che sa farsi da parte quando non serve, lasciando spazio alla persona. Un sistema davvero civile si misura dalla sua capacità di proteggere i più deboli rafforzandone, anziché annichilirne, la libertà.
Redazione - Staff Studio Legale MP