
“La grandezza di una nazione si misura da come tratta i suoi membri più deboli”, affermava Mahatma Gandhi. In quest’ottica, il nostro ordinamento prevede strumenti per proteggere i minori in situazione di difficoltà familiare: il tutore e il curatore speciale. Queste figure agiscono in loco parentis, ovvero al posto dei genitori, quando questi mancano o non sono in grado di garantire le decisioni migliori per il figlio. Il principio ispiratore è che il superiore interesse del minore (best interest of the child) deve prevalere su ogni altra considerazione. Il diritto italiano, infatti, opera secondo il concetto del parens patriae – il dovere dello Stato di farsi “genitore” di chi non ha tutela – ma lo fa come extrema ratio, intervenendo solo nei casi di effettiva necessità e nel rispetto possibile della volontà e delle relazioni affettive del bambino.
Il tutore è il rappresentante legale stabile del minore quando i genitori non ci sono o sono privati della responsabilità genitoriale. Si pensi al caso di un orfano senza parenti prossimi idonei, oppure a situazioni di grave decadenza della responsabilità genitoriale in cui il giudice allontana il minore dalla famiglia. In tali frangenti il Tribunale per i minorenni apre una procedura di tutela e nomina un tutore, che subentra ai genitori in tutte le decisioni riguardanti il minore. Il codice civile prevede che il tutore venga scelto preferibilmente tra parenti o persone vicine al minore, ma spesso – in mancanza di alternative – l’incarico può ricadere su un soggetto istituzionale: non di rado, nelle prassi, il Sindaco del comune dove il minore risiede funge da tutore pubblico (di solito delegando un assistente sociale). Il tutore ha il compito di amministrare i beni del minore, rappresentarlo negli atti civili e assicurare che i suoi bisogni di cura, educazione e sviluppo siano soddisfatti. Deve operare con la diligenza del “buon padre di famiglia” e rendere conto annualmente al giudice tutelare. Importante sottolineare che la nomina di un tutore non è mai punitiva verso i genitori, ma mira esclusivamente a proteggere il figlio: la decadenza della responsabilità genitoriale è considerata una misura estrema, da adottare solo quando davvero indispensabile per il bene del minore. La Cassazione ha ribadito questo principio in più occasioni, ad esempio sottolineando che la perdita della potestà non è una “pena” per i genitori, ma un rimedio per evitare un pregiudizio grave al bambino. Emblematica è la vicenda decisa da Cass. civ., Sez. I, ord. n. 12289/2025 (9 maggio 2025), in cui entrambi i genitori di una bambina erano stati dichiarati decaduti dalla responsabilità genitoriale a causa della loro totale inadeguatezza e del rifiuto ostinato di seguire le indicazioni dei servizi sociali. In quel caso il Tribunale dispose l’affidamento della minore a una casa-famiglia, nominando come tutore il Sindaco del Comune, e avviò persino la procedura di adottabilità vista la situazione di abbandono morale e materiale. La Suprema Corte, investita del ricorso della madre, confermò la legittimità di queste misure drastiche, evidenziando come fossero state l’ultima risorsa per garantire alla bambina un ambiente sano e protetto. “Nulla va lasciato intentato prima di privare un genitore del suo ruolo” – è il messaggio che emerge dalla giurisprudenza: solo di fronte a un fallimento conclamato di ogni supporto alla famiglia si passa alla tutela sostitutiva mediante un tutore legale.
Accanto alla tutela stabile affidata al tutore, l’ordinamento conosce la figura del curatore speciale del minore. Si tratta di un rappresentante legale temporaneo e ad hoc, nominato dal giudice per uno specifico procedimento o atto, quando c’è un conflitto di interessi tra il minore e i genitori oppure quando i genitori non possono o non vogliono assumere una decisione urgente nell’interesse del figlio. Il caso tipico è quello delle controversie sanitarie: se il minore necessita di una terapia o intervento e i genitori rifiutano il consenso per motivi non giustificati dal punto di vista medico, interviene il giudice tutelare nominando un curatore speciale che rappresenti il figlio e autorizzi le cure necessarie. Un esempio concreto e recentissimo ci viene da Cass. civ., Sez. I, ord. n. 2549/2025 (3 febbraio 2025): due genitori avevano dato un consenso “condizionato” a una trasfusione di sangue per il proprio bambino – accettando cioè la trasfusione solo se effettuata con sangue di donatori non vaccinati. Tale pretesa (motivata da timori infondati sulla vaccinazione e da convinzioni personali) di fatto impediva ai medici di operare in sicurezza. Di fronte all’impasse, l’ospedale si rivolse al giudice tutelare, il quale nominò un curatore speciale per il minore (nella persona del Direttore sanitario) che potesse autorizzare le trasfusioni senza le condizioni irragionevoli poste dai genitori. La Cassazione, confermando la correttezza di questa decisione, ha chiarito che un consenso prestato con condizioni contrarie alle buone pratiche cliniche equivale a un rifiuto: in base alla legge sul consenso informato (L. 219/2017), nessun paziente – neppure tramite i genitori – può esigere trattamenti sanitari contrari alla deontologia medica o rifiutare quelli indispensabili per la vita. In situazioni simili, quindi, è pienamente legittimo che il giudice intervenga nominando un curatore speciale che difenda il diritto alla salute del minore, che è preminente su opinioni o credenze familiari. Oltre alle questioni mediche, il curatore speciale viene nominato anche in caso di conflitti legali: ad esempio, se un minore deve agire in giudizio contro un genitore (o viceversa), oppure se nell’ambito di una causa tra i genitori gli interessi del figlio non sono adeguatamente rappresentati, il Tribunale nomina un curatore speciale che faccia le veci del minore nel processo. Ciò avviene spesso nelle cause di affidamento o abuso: il curatore – talvolta chiamato anche “curatore dell’ascolto” quando deve raccogliere e riferire le volontà del minore – garantisce che la voce e l’interesse del bambino abbiano una tutela autonoma nel procedimento, distinta da quella (potenzialmente viziata) offerta dai genitori in lite.
Sia nella nomina del tutore che del curatore speciale, un ruolo centrale è svolto dall’autorità giudiziaria: il giudice tutelare (per gli atti urgenti e amministrativi) e il Tribunale per i minorenni (per i provvedimenti più incisivi come la decadenza genitoriale). Questi giudici agiscono con estrema cautela, valutando caso per caso quale soluzione sia davvero la più adatta per il minore. La legge e la giurisprudenza impongono inoltre di coinvolgere il minore stesso nelle decisioni che lo riguardano, in misura proporzionata all’età e maturità. Già l’art. 3 della legge 219/2017 sul consenso informato prevede che anche i minori incapaci abbiano diritto a ricevere informazioni sulle proprie cure e ad esprimere la propria volontà per quanto possibile, tenendo conto della loro capacità di comprensione. Più in generale, in ogni procedimento minorile vale il principio dell’ascolto del minore: se ha un’età e una maturità sufficienti (di norma già a partire dai 12 anni, ma anche più piccolo se ritenuto capace di discernimento), il minore deve essere sentito dal giudice prima di prendere decisioni importanti sulla sua vita. Questa pratica, oltre a essere prevista dalle convenzioni internazionali (Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia) e dal nostro codice civile, è stata più volte rafforzata dalla Cassazione. Ad esempio, con Cass. civ., Sez. I, ord. n. 32328/2025 (11 dicembre 2025) la Suprema Corte ha annullato un provvedimento in materia di decadenza genitoriale perché la Corte d’Appello non aveva ascoltato direttamente una ragazza dodicenne coinvolta nella vicenda. I giudici di legittimità hanno ricordato che l’audizione del minore non è un mero formalismo, ma un passaggio fondamentale per capire i suoi bisogni e desideri: persino nelle situazioni di conflitto familiare più acceso, il bambino ha diritto di far sentire la propria voce. Naturalmente l’ascolto va condotto con modalità protette e adeguate all’età (spesso tramite un esperto o in ambiente protetto), ma non può essere omesso se il minore è in grado di formarsi un’opinione. Il rispetto di questo principio garantisce che la tutela legale non diventi mai disumanizzante: anche quando un tutore o un curatore speciale prendono decisioni per il minore, dovranno sempre tenere conto delle aspirazioni e dei sentimenti del bambino o ragazzo coinvolto.
Dall’analisi di queste figure emerge un sistema giuridico attento a bilanciare due esigenze: da un lato proteggere in modo efficace i minori fragili o in pericolo, dall’altro non sostituirsi inutilmente alla famiglia quando non ce n’è bisogno. Il tutore subentra solo se la famiglia naturale viene meno ai suoi doveri in modo irreparabile; il curatore speciale interviene limitatamente a una specifica situazione di conflitto o urgenza. In ogni caso, l’obiettivo non è mai esautorare i genitori per questioni di mero paternalismo statale, bensì colmare un vuoto di tutela. Idealmente, le misure di protezione dovrebbero essere temporanee e reversibili: se un genitore recupera le proprie capacità e dimostra di poter accudire di nuovo il figlio in sicurezza, la decadenza può essere revocata; analogamente, il curatore speciale cessa dalle funzioni una volta risolto l’atto o il procedimento per cui era stato nominato. Il fine ultimo è sempre quello di assicurare al minore una crescita armoniosa e il rispetto dei suoi diritti fondamentali. In tal senso, la presenza di un tutore o di un curatore non deve far venire meno l’affetto e il ruolo educativo delle figure di riferimento originarie (quando ancora presenti): spesso i giudici cercano soluzioni che mantengano, dove possibile, un collegamento affettivo tra il minore e la famiglia d’origine, compatibilmente con il suo benessere. La rete di protezione predisposta dall’ordinamento – fatta di assistenti sociali, tutori, curatori, giudici minorili – ha come scopo non solo di “salvare” il minore nell’immediato, ma anche di metterlo nelle condizioni migliori per il futuro, favorendo se possibile il rientro in famiglia o l’inserimento in un nuovo nucleo (come l’affidamento etero-familiare o l’adozione) quando ciò sia nell’interesse del bambino.
In conclusione, i concetti di tutore e curatore speciale testimoniano l’impegno del diritto nel prendersi cura dei più deboli. Dietro questi termini tecnici c’è la vita di bambini e ragazzi che attraversano momenti difficili, e la presenza dello Stato come garante ultimo dei loro diritti. È un equilibrio delicato: proteggere senza opprimere, sostituirsi ai genitori soltanto quando davvero necessario e restituire spazio alla famiglia appena possibile. La civiltà giuridica si misura anche da questo: fare in modo che nessun minore venga abbandonato a se stesso, senza al contempo spezzare inutilmente i legami familiari. L’auspicio è che ogni bambino possa crescere in un ambiente sicuro e amorevole; ma laddove ciò manchi, intervengono la legge e le istituzioni, perché – per parafrasare un noto proverbio africano – “per far crescere un bambino ci vuole un intero villaggio”. E in questo villaggio solidale, il tutore e il curatore speciale sono chiamati a svolgere, con umanità e responsabilità, il ruolo di guide e custodi temporanei dei nostri piccoli cittadini.
Redazione - Staff Studio Legale MP