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Sovraindebitamento: scudo legale con le misure protettive - Studio Legale MP - Verona

Le misure protettive offrono al debitore sovraindebitato una tregua temporanea dalle azioni dei creditori, bloccando pignoramenti e procedure esecutive. Questo “scudo legale” consente di guadagnare tempo prezioso per ristrutturare i debiti o avviare una soluzione concordata della crisi.

Nel sovraindebitamento le cosiddette misure protettive permettono al debitore di sospendere temporaneamente le azioni esecutive dei creditori, creando uno spazio di respiro per definire un piano di risanamento o liquidazione del debito.

Misure protettive nel sovraindebitamento: blocco dei creditori
Le misure protettive sono uno strumento introdotto dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) che tutela il debitore in difficoltà grave dall’aggressione immediata dei creditori. In altri termini, a seguito del deposito di una procedura di sovraindebitamento (come un piano di ristrutturazione del consumatore, un concordato minore o una liquidazione controllata), il tribunale può concedere una sospensione generale delle azioni esecutive individuali. Si tratta di una sorta di moratoria legale, analoga al “automatic stay” dei sistemi anglosassoni: i creditori vengono temporaneamente bloccati, così che il debitore abbia la possibilità di rielaborare la propria situazione senza pressioni esterne. Come recita il motto latino, “Dum spiro spero” (finché respiro, spero): anche davanti a una crisi di debiti apparentemente senza uscita, finché la legge offre protezione c’è speranza di soluzione.

Effetti concreti: stop a pignoramenti e azioni esecutive
Cosa comporta esattamente questo “scudo” per il debitore? In pratica vengono congelate tutte le iniziative di recupero forzoso. Dalla data di ammissione della procedura (o talvolta già dalla data di deposito della domanda, se il giudice lo dispone) nessun creditore può iniziare o proseguire pignoramenti, sequestri o altre esecuzioni sul patrimonio del debitore. Ecco gli effetti principali delle misure protettive:

Sospensione immediata dei pignoramenti già in corso (ad esempio pignoramenti immobiliari, pignoramenti dello stipendio o del conto corrente): le procedure esecutive vengono “congelate” e nessun bene del debitore può essere venduto all’asta durante il periodo protetto.

Divieto di nuovi atti esecutivi o cautelari: i creditori anteriori non possono avviare ulteriori pignoramenti, né richiedere sequestri o altri atti conservativi contro il debitore finché dura la protezione.

Stop alle trattenute su stipendio e pensione: se sul reddito gravava una cessione del quinto o un pignoramento presso terzi, tali prelievi vengono sospesi temporaneamente. Il debitore torna a disporre interamente del proprio stipendio durante la procedura, destinando le somme eventualmente eccedenti ai pagamenti secondo il piano concordato.

Blocco degli interessi di mora e delle decadenze: durante la moratoria, gli interessi di ritardato pagamento sui crediti chirografari non continuano a maturare (perché il creditore non può esigere il pagamento immediato). Inoltre i termini di prescrizione rimangono sospesi e non scattano decadenze a carico dei creditori, così che nessun diritto venga compromesso dal ritardo forzato.

Sospensione di aste e vendite forzate: se erano già fissate date di vendita per i beni pignorati (ad esempio l’asta della casa), il tutto viene rinviato. Il debitore quindi evita nel frattempo la perdita della casa o di altri beni essenziali, potendoli eventualmente includere in un piano di ristrutturazione.

Questa protezione a tutto campo crea una sorta di “zona franca” attorno al patrimonio del debitore, permettendogli di tirare il fiato. Non a caso si parla di tregua legale: per un periodo limitato, il debitore esce dalla trincea e i creditori devono attendere, mentre si prova a costruire una soluzione collettiva e ordinata della crisi. Importante sottolineare che le misure protettive tutelano indirettamente anche l’interesse dei creditori nel loro complesso: bloccando le iniziative del singolo, si previene la classica corsa al pignoramento e si garantisce una par condicio creditorum (parità di trattamento) nell’ambito della futura procedura. Ogni azione individuale, infatti, verrebbe svolta a discapito degli altri creditori e rischierebbe di compromettere il buon esito del piano unitario. La legge, quindi, bilancia i contrappesi: favor debitoris nel breve termine (stop ai singoli attacchi) ma in funzione di un interesse generale, ossia una soluzione più equa e razionale per tutti i creditori in sede concorsuale.

Va evidenziato che le misure protettive non intervengono sul merito dei debiti: non cancellano né riducono le somme dovute (quello sarà semmai l’esito finale dell’eventuale omologazione del piano o dell’esdebitazione). Si limitano a congelare il quadro esistente, impedendo che nell’attesa i creditori possano aggravare la posizione del debitore con ulteriori aggressioni. Durante questa fase, il debitore è tenuto a comportarsi con la massima correttezza e trasparenza, collaborando con l’eventuale Gestore della crisi o con l’esperto nominato e astening(typo; should be “astenendosi” or similar)...

Come ottenere le misure protettive e quanto durano
Le misure protettive non scattano in automatico ma devono essere espressamente richieste dal debitore al momento di presentare la domanda di accesso a una procedura di sovraindebitamento. In pratica, nell’istanza introduttiva che il debitore (tramite il suo avvocato) deposita in tribunale – sia essa un ricorso per la ristrutturazione dei debiti (ex “piano del consumatore”), per un concordato minore o per l’apertura della liquidazione controllata – è possibile inserire la richiesta di misure protettive a tutela del patrimonio. Il tribunale competente, ricevuta la domanda, valuta in tempi rapidi se concedere la protezione. Di norma il giudice emette inizialmente un decreto immediato, appena verificata la completezza formale della domanda, che concede provvisoriamente le misure protettive richieste. Questo provvedimento “inaudita altera parte” (cioè senza contraddittorio immediato con i creditori) serve proprio ad attivare subito lo scudo, evitando che nelle more i creditori corrano a pignorare. Successivamente viene fissata un’udienza di conferma entro breve (spesso nel giro di qualche settimana), in cui i creditori possono eventualmente comparire per opporsi e il giudice riesamina la situazione più nel merito. Se ci sono i presupposti, le misure protettive vengono confermate ed estese fino alla decisione finale sulla procedura; altrimenti possono essere modificate o revocate.

La durata delle misure protettive è temporanea e predeterminata. La legge stabilisce che il tribunale debba indicare un termine di efficacia, equilibrato rispetto alle esigenze del caso. In genere la protezione iniziale concessa copre un periodo tra 30 e 120 giorni (1-4 mesi). Questo intervallo consente di svolgere le trattative o gli adempimenti iniziali della procedura (ad esempio, raccogliere le eventuali adesioni dei creditori nel caso di un accordo di ristrutturazione, oppure predisporre il piano definitivo nel concordato minore). Se allo scadere del termine iniziale il percorso non è ancora completato, è possibile ottenere una proroga: il giudice può estendere le misure protettive oltre il termine iniziale, a condizione che siano stati compiuti progressi significativi e che la proroga non arrechi ingiusto pregiudizio ai creditori. Complessivamente, il CCII fissa un limite massimo di 12 mesi di durata delle misure protettive (proroghe incluse) per evitare moratorie eccessivamente lunghe: nessuno “scudo” può restare attivo oltre un anno in totale, salvo casi eccezionali espressamente previsti dalla normativa UE. In contesti particolari, vigono limiti ancora più brevi: ad esempio nella composizione negoziata della crisi (procedura volontaria per imprenditori introdotta dal D.L. 118/2021) le misure protettive hanno un orizzonte massimo di 8 mesi, coerentemente con la natura rapida e stragiudiziale di quella procedura. In ogni caso, la cessazione anticipata delle misure protettive è collegata all’andamento della procedura: se il debitore non deposita nei termini il piano o la documentazione richiesta, oppure se la sua domanda di ammissione viene dichiarata inammissibile, le misure decadono immediatamente e i creditori riacquistano la libertà di agire. Viceversa, se la procedura va avanti regolarmente, il blocco rimane in vigore sino all’omologazione del piano o alla chiusura della liquidazione, proteggendo il patrimonio fino a quel momento.

È importante segnalare che le nuove regole sulle misure protettive introdotte dal Codice della Crisi si applicano alle procedure avviate dopo l’entrata in vigore del Codice stesso (15 luglio 2022). Le procedure di sovraindebitamento pendenti prima di quella data restano invece soggette alla disciplina della legge 3/2012. Lo ha chiarito la Suprema Corte di Cassazione (Cass. civ., Sez. I, sent. n. 14835/2025), sottolineando che il regime intertemporale tutela l’affidamento delle parti: chi aveva già iniziato un percorso sotto la vecchia legge continua con quelle regole, senza improvvisi cambi di rotta a metà strada. Ciò significa, ad esempio, che un debitore che ha ottenuto misure protettive nel 2021 sulla base della legge 3/2012 non potrà chiedere di estenderle oltre i limiti previsti allora, nemmeno se oggi la normativa sarebbe più favorevole; viceversa, chi presenta la domanda oggi beneficia di tutti gli strumenti potenziati del nuovo Codice (compresa la possibilità di ottenere l’esdebitazione di diritto dopo 3 anni in liquidazione controllata, e così via).

Presupposti e limiti: quando il giudice concede (o nega) lo scudo
Le misure protettive sono pensate per aiutare il debitore onesto a trovare una soluzione, ma non vengono concesse in modo automatico o indiscriminato. Il giudice, nel decidere se confermarle, valuta attentamente alcuni presupposti di merito. In particolare, verifica che ci sia un serio percorso di risanamento o liquidazione in atto e che la richiesta di protezione non sia meramente strumentale. In altre parole, lo scudo viene accordato solo “in funzione di” un progetto credibile di regolazione della crisi. Diversi tribunali nel 2025 hanno ribadito questo concetto: niente misure protettive per chi non dimostra una prospettiva concreta di risanamento. Ad esempio, il Tribunale di Verona, con ordinanza del 10 marzo 2025, ha rigettato la richiesta di conferma delle misure protettive in un caso di composizione negoziata in cui il piano presentato dall’impresa era puramente liquidatorio. L’azienda in questione, priva di reali prospettive di continuare l’attività, proponeva di vendere un immobile e pagare i creditori con quel ricavato – soluzione che poteva forse offrire un miglior soddisfacimento ai creditori rispetto a un fallimento, ma che non prevedeva alcun vero rilancio. I giudici veronesi hanno negato la protezione proprio perché mancava l’elemento chiave richiesto dalla legge: una prospettiva di risanamento o di continuità aziendale. Allo stesso modo, il Tribunale di Bolzano (decreto 20 novembre 2025) ha dichiarato inammissibile una composizione negoziata priva di piano di risanamento, rifiutando contestualmente le misure protettive richieste: in assenza di un progetto effettivo di continuità dell’impresa, congelare le azioni dei creditori è risultato ingiustificato. Il messaggio che emerge da queste pronunce è chiaro: lo scudo non serve a prendere tempo in astratto, ma a dare tempo a chi lo impiega per risolvere davvero la crisi.

Di contro, quando il debitore dimostra impegno concreto e soluzioni plausibili, la magistratura mostra di saper utilizzare con fiducia lo strumento protettivo. Sempre a Verona, in un caso analogo, inizialmente le misure protettive erano state negate per mancanza di prospettive di risanamento; tuttavia l’impresa ha presentato in reclamo nuovi elementi (un investitore terzo disposto a rilevare l’azienda e accollarsi parte dei debiti) trasformando di fatto un piano liquidatorio in un piano di rilancio. A fronte di queste novità sostanziali, il Tribunale di Verona ha cambiato rotta: con decreto del 10 giugno 2025 ha accolto il reclamo e confermato le misure protettive, riconoscendo che ora esisteva finalmente un progetto orientato al risanamento dell’impresa. Questo episodio dimostra come l’atteggiamento dei giudici sia rigoroso ma non preclusivo: se il debitore fornisce garanzie di serietà (dati, documenti e iniziative concrete che fanno intravedere la riuscita del piano), il beneficio della protezione viene concesso volentieri. Viceversa, se emergono indizi di abuso o di malafede, la tutela viene negata o revocata. Un classico caso di abuso è il debitore che presenta istanze di sovraindebitamento solo per bloccare i creditori e poi non le porta avanti seriamente: una simile strategia dilatoria non funziona, perché il tribunale farà cadere lo scudo al primo segnale di inattività o di mancanza di collaborazione.

Un altro limite intrinseco delle misure protettive riguarda il loro oggetto: esse bloccano le azioni esecutive e cautelari, ma non possono interferire con ogni aspetto del rapporto creditore-debitore. Ad esempio, non è una misura protettiva ammissibile quella di ordinare alle banche di non segnalare il debitore come moroso nelle banche dati creditizie. Su questo punto il Tribunale di Verona (ord. 26 febbraio 2025) ha chiarito che la segnalazione a sofferenza in Centrale Rischi non può essere inibita dal giudice nell’ambito del concordato o del sovraindebitamento, a meno di situazioni del tutto eccezionali. La “sofferenza” bancaria è infatti un atto dovuto interno al sistema creditizio, che attiene alla valutazione del rischio e non all’esecuzione forzata: impedirla vorrebbe dire andare oltre la finalità propria delle misure protettive. Dunque il debitore, pur protetto dai pignoramenti, potrebbe comunque subire gli effetti reputazionali del suo inadempimento (difficoltà ad ottenere nuovi finanziamenti, punteggio creditizio negativo), perché lo scudo non copre la reputazione finanziaria ma solo il patrimonio in senso stretto. Allo stesso modo, le misure protettive non estinguono i contratti in corso (come mutui o leasing): se il piano prevede di continuare a pagarli, il debitore deve proseguire nei pagamenti correnti, salvo chiedere eventualmente la sospensione delle singole rate in sede di omologazione. In sintesi, i creditori non possono procedere con la forza, ma possono comunque tutelarsi in altri modi leciti (ad esempio opponendosi in giudizio se ritengono non conveniente il piano, o revocando affidamenti bancari se ricorrono giustificati motivi).

È utile ricordare che il tribunale, parallelamente alle misure protettive, può adottare anche misure cautelari nell’interesse dei creditori: ad esempio può vietare al debitore di compiere atti di straordinaria amministrazione non autorizzati, oppure nominare un custode o amministratore giudiziario per gestire temporaneamente alcuni beni. Queste misure cautelari (disciplinate anch’esse dall’art. 19 CCII) hanno lo scopo di preservare l’integrità del patrimonio durante la moratoria, evitando che il debitore – approfittando della sospensione delle esecuzioni – possa dissipare beni o peggiorare la situazione dei creditori. Misure protettive e misure cautelari, dunque, si integrano: le prime bloccano gli attacchi dall’esterno, le seconde blindano la situazione dall’interno. Il risultato combinato è di congelare il perimetro della crisi, garantendo che al termine della procedura il giudice trovi una situazione patrimoniale invariata rispetto all’inizio: né depauperata da atti del debitore, né smembrata da atti dei creditori.

Un’occasione di ripartenza, da sfruttare con responsabilità
In conclusione, le misure protettive rappresentano per il debitore sovraindebitato una opportunità preziosa: quella di uscire dal vortice dei pignoramenti e di lavorare con serenità a una soluzione di lungo periodo. Si tratta di una tregua legale concessa una tantum, da utilizzare al meglio. Come scrive Alexandre Dumas ne Il Conte di Montecristo, “Tutta la sapienza umana è contenuta in due parole: aspettare e sperare”. Nel nostro contesto, queste parole hanno un significato molto concreto: aspettare, perché la legge concede il tempo necessario fermando i creditori; sperare, perché durante quell’attesa il debitore onesto può costruire, insieme ai professionisti della crisi, la propria rinascita economica. Ovviamente, lo scudo temporaneo di per sé non risolve i problemi: se il debitore non lo sfrutta per predisporre un piano serio di rientro o di liquidazione, passati i mesi di protezione si ritroverà al punto di partenza, con i creditori di nuovo alla porta. Ma se alla tregua segue l’azione – la presentazione di un progetto sostenibile e la sua esecuzione fedele – allora le misure protettive avranno assolto al loro scopo, fungendo da ponte verso la soluzione. “Uscimmo a riveder le stelle”, scriveva Dante dopo il buio dell’Inferno: allo stesso modo il debitore sovraindebitato può tornare a vedere la luce in fondo al tunnel, purché utilizzi gli strumenti offerti dall’ordinamento con impegno e buona fede.

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  • 23 dicembre 2025
  • Redazione

Autore: Redazione - Staff Studio Legale MP


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