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Sovraindebitamento: colpa del debitore o delle banche? - Studio Legale MP - Verona

Le nuove sentenze sul sovraindebitamento fanno chiarezza sui limiti della colpa grave del debitore e riconoscono quando la responsabilità ricade invece sugli istituti di credito, aprendo maggiormente la strada all’esdebitazione dei debitori onesti.

Il ruolo della colpa nel sovraindebitamento

Quando una persona si ritrova sovraindebitata, ossia incapace di far fronte ai propri debiti con il patrimonio e il reddito disponibili, la legge offre oggi diverse procedure per uscire dalla crisi (piano del consumatore, concordato minore, liquidazione controllata). Tuttavia, l’accesso a questi strumenti non è automatico: il debitore deve dimostrare di essere meritevole, cioè di non aver causato il proprio dissesto con comportamenti gravemente colpevoli o fraudolenti. Questo principio, introdotto originariamente con la legge “salva suicidi” 3/2012, rimane centrale anche nel nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII). In sostanza, chi chiede di ridurre o cancellare i propri debiti deve avere tenuto una condotta onesta e responsabile: nemo tenetur ad impossibilia, ma chi ha colpe gravi non può aspettarsi indulgenza.

In passato, i tribunali interpretavano in modo severo la nozione di colpa grave del debitore, al punto che bastavano errori di gestione o scelte finanziarie imprudenti per vedersi negare l’accesso alle procedure di sovraindebitamento. Oggi questo approccio sta cambiando. La giurisprudenza recente mostra una maggiore comprensione verso le difficoltà dei debitori “comuni”, distinguendo tra chi ha agito in buona fede commettendo magari leggerezze e chi invece ha abusato in modo doloso del credito. Come scrive Shakespeare ne Il mercante di Venezia, «la misericordia non è forzata; cade come la dolce pioggia dal cielo… È due volte benedetta: benedice chi la concede e chi la riceve». Allo stesso modo, l’ordinamento attuale tende a concedere clemenza a chi è caduto nei debiti senza malizia, pur mantenendo ferme le sanzioni verso i comportamenti davvero inescusabili. Vediamo allora come le sentenze del 2025 hanno tracciato la linea di confine tra colpa del debitore e responsabilità degli enti finanziatori.

Meritevolezza del debitore: dalle vecchie rigidezze a un approccio più equo

La “porta stretta” per ottenere l’esdebitazione è sempre stata la meritevolezza. Il CCII richiede espressamente che il sovraindebitato non abbia provocato il dissesto con colpa grave, malafede o frode. In passato il concetto era applicato con rigidità: anche comportamenti non fraudolenti ma considerati poco avveduti (ad esempio, aver accumulato troppo credito al consumo) potevano costare l’esclusione dalla procedura. Si ricorreva al detto latino “summum ius, summa iniuria” per giustificare un’estrema severità che finiva però per punire in modo eccessivo debitori magari solo ingenui. Oggi, complice anche la spinta del diritto comunitario verso il fresh start, si assiste a un cambio di paradigma. La Corte di Cassazione ha invitato i giudici a non interpretare in modo punitivo le norme sull’accesso: l’obiettivo primario è massimizzare il soddisfacimento dei creditori e offrire al debitore onesto una via d’uscita. In una pronuncia recente, la Suprema Corte ha chiarito che eventuali dubbi sulla condotta del debitore non devono precludere a priori l’ingresso in procedura, ma rilevano semmai al termine, al momento di concedere l’esdebitazione (Cass. civ., Sez. I, ord. n. 22074/2025). In altri termini, anche chi ha qualche ombra nel passato può essere ammesso, purché non vi sia dolo o malafede, rinviando il giudizio definitivo di affidabilità alla fine del percorso. Questa visione “aperta” è una svolta notevole: si evita di sbarrare le porte a chi potrebbe comunque offrire qualcosa ai creditori, tenendo la valutazione morale come ultimo step.

L’orientamento attuale, dunque, è improntato a ragionevolezza e proporzionalità. Si guarda alle cause dell’indebitamento e al comportamento complessivo del debitore. Errori gestionali, scelte economiche azzardate o una certa leggerezza nel fare debiti non bastano più, da soli, a bollare il debitore come non meritevole. Occorre che vi sia una condotta davvero inescusabile: ad esempio, aver contratto obbligazioni con l’intento di non pagarle, aver frodato i creditori (alienando beni o simulando debiti inesistenti) oppure un ricorso al credito talmente scriteriato da risultare equivalente al dolo. Fuori da questi casi limite, oggi prevale il favor debitoris inteso in senso virtuoso: meglio dare una chance in più a chi è in difficoltà, anziché punirlo per ogni imprudenza. Del resto, lo scopo sociale delle norme sul sovraindebitamento è reintegrare nell’economia persone che, senza aiuto, resterebbero condannate ai debiti a vita – una sorta di “pena perpetua” civile. Ecco perché i giudici mostrano crescente sensibilità: “ogni peccatore ha un futuro”, per citare Oscar Wilde, soprattutto se le sue colpe non superano la soglia della gravità.

Finanziamenti a catena e prestiti facili: quando il debitore non è (troppo) colpevole

Un caso tipico analizzato di recente riguarda il consumatore che accumula finanziamenti a catena, ossia nuovi prestiti attivati per rimborsarne altri precedenti, entrando in un circolo vizioso di debiti su debiti. In situazioni del genere, un’interpretazione superficiale potrebbe attribuire al debitore una grave irresponsabilità: perché continuare a chiedere denaro quando si è già indebitati? Eppure la realtà spesso è più complessa e riguarda meccanismi psicologici e pratici di chi cerca disperatamente di coprire buchi finanziari con nuovi finanziamenti. Ebbene, la giurisprudenza del 2025 ha mostrato notevole comprensione verso questi debitori. Il Tribunale di Mantova, ad esempio, ha escluso che il semplice ricorso a prestiti successivi l’uno per pagare l’altro configuri, di per sé, una colpa grave tale da impedire la procedura (Trib. Mantova, sent. 16 giugno 2025). In quel caso, la debitrice aveva contratto numerosi piccoli finanziamenti al consumo nel tentativo di tenere sotto controllo l’esposizione, senza mai un intento fraudolento. I giudici virgiliani hanno ritenuto che questo comportamento, seppur imprudente, non raggiunga la soglia della malafede o della grave negligenza inescusabile: piuttosto è il frutto di una spirale debitoria in cui la persona è rimasta intrappolata. Significativamente, il tribunale ha aggiunto che neppure alcune omissioni o inaccuratezze commesse dalla debitrice nel rispondere ai questionari delle finanziarie configuravano una frode ai creditori. Spesso, quando si chiede un prestito, si tende (erroneamente) a minimizzare la propria situazione economica nella speranza di ottenere credito: un comportamento criticabile, ma che Trib. Mantova non ha ritenuto sufficiente per bollare la debitrice come non meritevole, in assenza di inganni deliberati.

Questa decisione riflette un approccio più realistico e umano: il giudice valuta l’intenzione e il contesto, non solo il numero di prestiti sottoscritti. Se il quadro generale mostra una persona in difficoltà che prova a barcamenarsi, senza intenti di truffa, prevale la volontà di aiutarla a risollevarsi. D’altronde, errare humanum est: nell’economia moderna è fin troppo facile ritrovarsi a tappare un debito con un altro debito, finché la situazione sfugge di mano. Punire sempre e comunque il debitore perché “avrebbe dovuto fermarsi prima” rischia di essere una semplificazione ingiusta, soprattutto quando le banche e le finanziarie hanno continuato a prestargli soldi oltre ogni ragionevole soglia di rischio.

Obbligo di verifica del merito creditizio: le colpe (spesso taciute) delle banche

Un elemento chiave emerso nelle sentenze recenti è proprio la responsabilità degli intermediari finanziari nel sovraindebitamento dei clienti. In base alle norme di trasparenza e correttezza (art. 124-bis del Testo Unico Bancario), banche e società finanziarie sono tenute a valutare il merito creditizio di chi richiede un prestito, cioè a verificare attentamente la sua capacità di rimborsare. Concedere denaro a chi palesemente non è in grado di restituirlo può configurare la cosiddetta “concessione abusiva di credito”, una pratica scorretta che alimenta situazioni di indebitamento insostenibile. Ebbene, la giurisprudenza sul sovraindebitamento sta iniziando a tenere in forte considerazione questo aspetto: se il debitore ha colpe, spesso anche la banca non è senza macchia.

Emblematica è una decisione del Tribunale di Spoleto, secondo cui la violazione degli obblighi di verifica da parte della banca incide sulla valutazione di meritevolezza del debitore (Trib. Spoleto, sent. 27 maggio 2025). In quel caso, le finanziarie avevano erogato prestiti in serie al medesimo consumatore senza effettuare controlli adeguati sul suo livello di indebitamento pregresso. Il giudice umbro ha affermato che questa condotta degli istituti di credito è idonea ad elidere la colpa grave del debitore: in pratica, se la banca non fa il suo dovere di vigilanza, non può poi pretendere che l’intero peso della situazione cada sul cliente. Si crea quasi un concorso di colpa morale: il debitore ha ecceduto nel ricorrere al credito, ma la banca lo ha assecondato imprudentemente. Di conseguenza, ai fini dell’accesso alla procedura, l’atteggiamento negligente degli intermediari diventa un fattore a favore del debitore. Questa prospettiva ha un importante risvolto pratico: un consumatore sommerso dai debiti potrebbe temere di essere giudicato severamente per le proprie scelte, ma se può dimostrare di essere stato spinto o comunque non frenato da politiche di credito eccessivamente disinvolte, troverà un giudice più comprensivo.

Del resto, la stessa Cassazione ha riconosciuto che l’analisi sulla meritevolezza deve tenere conto prima di tutto dell’utilità della procedura per i creditori e dell’obiettivo del risanamento. Se ammettere il debitore sovraindebitato consente di realizzare il miglior risultato possibile per tutti (anche recuperando qualcosa dai suoi beni o redditi), allora eventuali leggerezze passate – specie se condivise con le banche – non possono diventare un ostacolo insormontabile. Ciò non significa che le regole vengano ignorate: significa piuttosto applicarle con buon senso. In concreto, anche un indebitamento originato da scelte finanziarie discutibili può trovare tutela, a patto che il debitore oggi collabori e metta tutte le sue risorse a disposizione nella procedura. La colpa grave resta un concetto importante, ma viene confinata ai casi di vera spregiudicatezza o abuso intenzionale.

I limiti della clemenza: quando l’imprudenza diventa inescusabile

Attenzione: l’orientamento più aperto non equivale a un “liberi tutti”. Esistono ancora paletti precisi oltre i quali il debitore perde il beneficio del dubbio. Le nuove pronunce disegnano un equilibrio: clemenza verso il debitore onesto e disperato, tolleranza zero verso comportamenti scorretti. Ad esempio, resta fuori chi abbia tentato di frodare i creditori: se emergono atti in frode (come cessioni simulate di beni per sottrarli al concorso, pagamenti preferenziali ad amici o parenti, distrazione di somme poco prima di chiedere l’aiuto del tribunale), la procedura viene dichiarata inammissibile o revocata. Così ha stabilito, per dire, la Corte d’Appello de L’Aquila nel caso di un debitore che aveva venduto un immobile in modo sospetto poco prima di proporre un concordato minore: i giudici abruzzesi hanno ritenuto quella cessione un atto diretto a frodare le ragioni dei creditori, sancendo l’inammissibilità della domanda (App. L’Aquila, sent. 13 giugno 2025). Si tratta di situazioni estreme, in cui è evidente l’intento di abusare degli strumenti di legge a danno dei creditori stessi – casi in cui la severità resta assoluta.

Un altro campo delicato è quello dei fideiussori e dei garanti indebitatisi per aiutare terzi. Anche qui la giurisprudenza manda segnali importanti: da un lato riconosce tutele a chi si è esposto per altruismo, dall’altro valuta la proporzionalità dell’impegno assunto. Il Tribunale di Brescia, ad esempio, ha affrontato il caso di un garante che aveva prestato fideiussioni di importo enorme rispetto al proprio patrimonio, ritrovandosi insolvente quando le garanzie sono state escusse. In tale pronuncia si sottolinea che il ricorso sproporzionato al credito – come fare da garante per somme ben al di sopra delle proprie capacità – può costituire una colpa rilevante, anche se inizialmente il debitore principale (l’azienda garantita) appariva solvibile (Trib. Brescia, sent. 28 maggio 2025). In sostanza, firmare obbligazioni al di là di ogni ragionevole possibilità di adempimento personale è visto come un azzardo grave, non scusabile con la sola buona fede. Ciò non toglie, però, che in altri casi i garanti possano accedere al sovraindebitamento: si pensi ai tanti genitori o coniugi che hanno garantito debiti d’impresa dei familiari senza far parte essi stessi dell’attività. La giurisprudenza più recente li considera consumatori a tutti gli effetti, e quindi ammessi al piano del consumatore, se la garanzia prestata era estranea a un proprio scopo di lucro (Trib. Termini Imerese, sent. 30 maggio 2025). Anche qui, dunque, la valutazione è sfumata: il semplice fatto di avere debiti di origine imprenditoriale (per aver garantito un’azienda) non esclude la procedura, ma se l’impegno assunto era manifestamente folle rispetto alle proprie risorse, il giudice potrà negare l’esdebitazione per mancanza di meritevolezza.

In definitiva, le zone d’ombra resistono solo dove il comportamento del debitore trascende l’ingenuità e sconfina nella grave imprudenza o nel dolo. Nei casi normali, invece, l’orientamento attuale evita di colpevolizzare oltremodo chi è già vittima di una crisi finanziaria. Si cerca, per quanto possibile, di non spezzare l’ultima corda a cui il debitore onesto si sta aggrappando per risalire.

Verso un equilibrio tra rigore e seconda opportunità

Le evoluzioni del 2025 delineano dunque un sistema più equilibrato. Da un lato, rimane fermo il messaggio che il sovraindebitamento non può diventare un rifugio per i furbi: chi ha vissuto al di sopra dei propri mezzi in modo sconsiderato, o peggio ha cercato scientemente di non pagare quanto dovuto, non troverà sconti (in linea con l’idea che i debiti onesti vanno onorati, salvo situazioni eccezionali). Dall’altro lato, però, è finalmente riconosciuto che molti debitori si sono indebitati senza volerlo e senza piena consapevolezza, spesso aiutati in questo percorso dalle politiche di credito di banche e finanziarie. Questi debitori non devono più sentirsi automaticamente segnati con la lettera scarlatta della colpa: la legge e i giudici offrono loro strumenti di sollievo reali. L’esdebitazione – ossia la cancellazione dei debiti residui al termine della procedura – non è più un miraggio riservato a pochi “santi”, ma un obiettivo concretamente raggiungibile per ogni debitore onesto e trasparente. L’importante è che chi chiede aiuto metta sul piatto tutto il possibile (patrimonio, redditi futuri, collaborazione attiva) per soddisfare i creditori nei limiti del ragionevole. Se c’è impegno leale, il sistema oggi tende a premiare con il fresh start. In fondo, lo spirito delle norme sul sovraindebitamento è questo: dare una seconda opportunità a chi è finito in un tunnel di debiti senza via d’uscita, senza approfittarne in malafede. Come recita un antico brocardo, nemo tenetur ad impossibilia: nessuno può essere tenuto a pagare l’impossibile, e nessuna colpa può essere ritenuta imperdonabile quando anche le banche hanno contribuito all’eccesso di debito.

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  • 01 dicembre 2025
  • Redazione

Autore: Redazione - Staff Studio Legale MP


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