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Riscaldamento condominiale: distacco, spese e nuove regole - Studio Legale MP - Verona

Le ultime sentenze chiariscono obblighi e limiti sul riscaldamento centralizzato in condominio

La convivenza condominiale non è sempre facile: “Buone recinzioni fanno buoni vicini”, ammoniva ironicamente il poeta Robert Frost. Il desiderio di autonomia spinge molti proprietari a installare una caldaia autonoma per separarsi dall’impianto comune, sperando di tagliare costi e discussioni. Tuttavia, in condominio l’indipendenza energetica non è assoluta: la legge e i giudici delineano condizioni rigorose per il distacco e obblighi che permangono in capo al condomino “dissidente”, oltre a porre freni alle decisioni assembleari che incidono sui diritti individuali.

Distacco dall’impianto centralizzato: condizioni e obblighi – Dal 2013 il codice civile (art. 1118 c.c.) consente al singolo condomino di rinunciare all’utilizzo del riscaldamento centralizzato, senza bisogno di approvazione dell’assemblea, a patto che dal suo distacco non derivino notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri. In pratica, il condomino deve poter scollegare la propria unità senza causare problemi tecnici (ad esempio cali di temperatura negli appartamenti adiacenti) né aumenti nei costi di gestione per i vicini. Il rispetto di questi requisiti va provato: chi intende staccarsi farebbe bene a munirsi di una relazione tecnica da cui risulti che l’esclusione del proprio impianto non pregiudica il rendimento termico collettivo. Se il distacco è fattibile, il condomino può procedere unilateralmente, installando un sistema autonomo nella propria abitazione. Ma l’operazione non lo esonera da ogni onere: il secondo periodo dell’art. 1118 c.c. specifica che il rinunciante resta comunque tenuto a contribuire alle spese per la manutenzione straordinaria e la conservazione dell’impianto centralizzato. In altre parole, chi si distacca non paga più il combustibile e la fornitura di calore, ma rimane comproprietario dell’impianto comune (caldaia, tubature, radiatori condominiali) e deve partecipare ai relativi costi di sostituzione, manutenzione e messa a norma.

Le sentenze recenti sulle spese del distacco – Proprio su quest’ultimo punto sono intervenute nuove sentenze della Cassazione, per chiarire gli obblighi di chi “fa da sé” con il riscaldamento. In passato alcuni condomini distaccati contestavano il pagamento di interventi alla caldaia centralizzata o altre spese di impianto, ritenendo di non dover più contribuire. La Suprema Corte ha ora fugato i dubbi: il condomino distaccato deve partecipare alle spese straordinarie dell’impianto comune. In particolare, Cass. civ., Sez. II, sent. n. 10813/2025 ha stabilito che l’installazione di una caldaia autonoma non esenta dal pagamento della quota per la sostituzione della caldaia centralizzata condominiale: tale costo rientra nella conservazione del bene comune, da cui il singolo non può chiamarsi fuori. Allo stesso modo restano a carico del distaccato le spese di manutenzione straordinaria sulle reti di distribuzione, pompe, contabilizzatori di calore e altri elementi dell’impianto collettivo che rimangono di proprietà comune. Dunque, chi opta per il distacco ottiene un beneficio sui consumi, ma non può sottrarsi ai costi di mantenimento dell’infrastruttura condivisa. È bene tenerlo presente quando si valuta la convenienza dell’operazione.

Va aggiunto che il condomino che si distacca deve eseguire i lavori a regola d’arte: se il suo distacco risulta tecnicamente improprio e causa malfunzionamenti o sovraccosti agli altri (ad esempio squilibri di pressione, calore disperso, aumento dei consumi altrui per compensare), l’assemblea può esigerne la riconnessione o il risarcimento dei danni. La legittimità del distacco, infatti, si valuta ex post: se emergono inconvenienti per il condominio, la rinuncia unilaterale diventa fonte di responsabilità. È quanto ha ricordato anche la Corte d’Appello di Napoli (sent. n. 4229/2025), confermando che il condomino scollegato senza garanzie tecniche non può poi pretendere l’esonero dalle spese di esercizio imputategli in bilancio. Inoltre, se il regolamento contrattuale del condominio prevede espressamente l’obbligo di contribuire alle spese di riscaldamento anche per i condomini distaccati, tale clausola è valida e vincolante. In tal caso – ricorda la giurisprudenza – la volontà contrattuale unanime dei condomini supera la disciplina legale di default: chi abita in quel condominio ha accettato fin dall’inizio di sostenere comunque tutti i costi dell’impianto, anche dopo un eventuale distacco, e non potrà dunque opporre alcun rifiuto (Cass. civ., Sez. VI-2, ord. n. 12580/2017).

Eliminare il riscaldamento centralizzato: i limiti per l’assemblea – Se il singolo ha facoltà (condizionata) di uscire dall’impianto comune, può invece la maggioranza decidere di spegnere per tutti la caldaia condominiale? In edifici datati, magari semi-vuoti o con impianto poco efficiente, non è raro che alcuni condomini propongano di dismettere del tutto il sistema centralizzato per installare solo soluzioni autonome. Una simile delibera, però, va a incidere sui diritti individuali di proprietà e non può essere imposta a maggioranza. Lo ha ribadito la Cassazione di recente, affermando che la delibera assembleare che priva alcuni condomini di un servizio comune essenziale è nulla se non adottata all’unanimità. Ad esempio, una decisione condominiale di sopprimere l’impianto di riscaldamento centralizzato per far spazio a caldaie singole, escludendo magari i locali commerciali, lede il diritto dei proprietari dissenzienti a continuare a godere di un bene comune dell’edificio. Senza il loro consenso, un tale provvedimento non ha effetto. In tal senso Cass. civ., Sez. II, sent. n. 20544/2025 ha annullato le delibere con cui un’assemblea aveva disattivato l’impianto idrico centralizzato (analogo per principi a quello di riscaldamento) a scapito di un negozio al piano terra: pur perseguendo finalità utili (adeguamento normativo e razionalizzazione dei consumi), la decisione non era stata approvata da tutti i condomini ed è stata quindi ritenuta illegittima perché lesiva del diritto del singolo al godimento della cosa comune. Quod omnes tangit, ab omnibus approbari debet – ciò che riguarda tutti deve essere da tutti approvato. Il codice civile già prevede che le innovazioni gravose o voluttuarie non possano essere imposte alla minoranza dissenziente (art. 1121 c.c.); a maggior ragione, la totale eliminazione di un servizio comune richiede il consenso unanime oppure deve rientrare nei casi particolari espressamente ammessi dalla legge.

Risparmio energetico e nuove normative – Vi sono infatti normative speciali che incentivano l’efficientamento energetico degli edifici, consentendo in alcuni casi interventi importanti con quorum deliberativi ridotti. Ad esempio, l’installazione di sistemi di termoregolazione e contabilizzazione del calore è oggi obbligatoria per legge e le delibere che ripartiscono le spese in base ai consumi effettivi (e non solo ai millesimi) sono pienamente legittime. La tendenza legislativa è quella di migliorare le prestazioni termiche collettive, non di peggiorarle: perciò un conto è adottare, con le dovute maggioranze, misure come cappotti termici, caldaie centralizzate più moderne o trasformazioni dell’impianto finalizzate al risparmio energetico (innovazioni che beneficiano di maggioranze agevolate ex art. 1120 c.c. e D.Lgs. 199/2021); altro conto sarebbe sopprimere un impianto efficiente contro la volontà di alcuni condomini, costringendoli a soluzioni autonome magari meno convenienti. In assenza di accordo unanime, dunque, l’assemblea non può imporre la decentralizzazione forzata del riscaldamento. Piuttosto, può deliberare miglioramenti e suddivisioni più eque delle spese: per i condomini dotati di termovalvole e contatori di calore, oggi vige il criterio del consumo effettivo. Il D.Lgs. 102/2014 (di recepimento della direttiva UE sull’energia) ha imposto di distinguere nei costi di riscaldamento una quota fissa e una quota variabile in base ai consumi registrati; di conseguenza, i condomini che consumano meno calore pagano meno, senza più sprechi ripartiti uniformemente. Questo sistema premia anche chi si distacca correttamente (evitando di gravare sugli altri) e incentiva tutti ad un uso più responsabile dell’energia termica condivisa.

In conclusione, la materia del riscaldamento condominiale è complessa ma oggi più chiara grazie agli interventi normativi e giurisprudenziali. Chi intende affrancarsi dall’impianto comune deve rispettare precise condizioni tecniche e legali, consapevole di dover comunque contribuire alla funzionalità del condominio. Dal lato opposto, la maggioranza condominiale non può prevaricare i diritti del singolo oltre i limiti di legge, neppure con la scusa del risparmio, pena la nullità delle deliberazioni lesive. Come spesso accade, la chiave è nell’equilibrio: ogni condomino deve poter godere liberamente della propria casa senza ledere il pari diritto altrui, ma in armonia con la collettività. Se sorgono controversie su distacchi, spese o innovazioni dell’impianto termico, la strada migliore è rivolgersi a un legale esperto in diritto condominiale per tutelare i propri interessi e trovare soluzioni conformi a legge e regolamento.

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  • 30 dicembre 2025
  • Redazione

Autore: Redazione - Staff Studio Legale MP


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