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Risarcimento per la morte dell’animale domestico: le tutele - Studio Legale MP - Verona

La perdita di un animale d’affezione è un trauma che oggi trova riconoscimento anche sul piano legale. Le più recenti sentenze aprono alla possibilità per il proprietario di ottenere un risarcimento per il danno morale subito, delineando condizioni e limiti di questa nuova forma di tutela.

Un tempo il dolore per la morte di un animale domestico era considerato dalla legge un semplice dispiacere non risarcibile. Oggi, però, la giurisprudenza sta cambiando rotta: alcune sentenze riconoscono al proprietario il diritto a un risarcimento del danno non patrimoniale se la perdita del pet è causata dalla colpa altrui. In questo articolo analizziamo i nuovi orientamenti, i requisiti per ottenere giustizia e come il proprietario può tutelarsi legalmente in caso di decesso di un animale d’affezione.

La giurisprudenza apre a nuove tutele per i proprietari in caso di morte di un animale domestico. Scopri quando spetta il risarcimento e come ottenerlo.

 

Il vecchio orientamento: il dolore per il pet non è risarcibile

La morte improvvisa di un cane o di un gatto di famiglia lascia un vuoto incolmabile. «Fino a quando non hai amato un animale, parte della tua anima resta addormentata.» – Anatole France. Questa celebre frase cattura la profondità del legame affettivo con un animale domestico. Eppure, fino a pochi anni fa chi perdeva il proprio amato pet non poteva ottenere alcun risarcimento per la sofferenza patita: la legge considerava quel dolore un mero evento emozionale privo di rilevanza giuridica.

La Corte di Cassazione, infatti, con le Sezioni Unite del 2008 (sent. n. 26972/2008) fu chiarissima nel negare tutela risarcitoria: la perdita di un animale, per quanto dolorosa, non veniva ritenuta lesiva di alcun diritto inviolabile della persona. In quella pronuncia e in altre coeve (ad esempio Cass. civ., Sez. III, sent. n. 14846/2007, relativa alla morte di un cavallo da corsa) i giudici esclusero qualsiasi risarcimento per il proprietario, sostenendo che il legame uomo-animale non godeva, nell’ordinamento dell’epoca, di una copertura costituzionale tale da giustificare un indennizzo. In altre parole, la sofferenza per la morte di un animale d’affezione veniva equiparata a un dispiacere privo di tutela giuridica: un pregiudizio ritenuto “futile” o comunque non risarcibile ai sensi dell’art. 2059 c.c. (che limita il risarcimento del danno non patrimoniale ai casi previsti dalla legge).

La nuova sensibilità della giurisprudenza: verso il riconoscimento del legame affettivo

Negli ultimi anni si è assistito a un cambio di prospettiva. Complice una maggiore sensibilità sociale verso gli animali e l’introduzione di reati specifici per tutelarli (come il maltrattamento e l’uccisione di animali ex artt. 544-bis e 544-ter c.p.), diversi tribunali hanno iniziato ad ammettere il risarcimento per la perdita dell’animale d’affezione. Queste pronunce innovative hanno riconosciuto che il rapporto affettivo con un pet può assumere rilievo costituzionale, in quanto espressione della sfera emotiva e relazionale della persona. In tal senso, i giudici di merito hanno applicato il principio secondo cui ubi ius, ibi remedium: dove esiste un diritto (nella fattispecie, il diritto al legame affettivo con il proprio animale), deve esistere anche un rimedio per la sua lesione.

Già il Tribunale di Arezzo nel 2017 (sent. n. 940/2017) ha fatto da apripista, affermando che il rapporto di affezione tra una persona e il suo animale domestico rientra tra quei valori fondamentali tutelati dall’art. 2 della Costituzione (diritti inviolabili dell’uomo). Sulla scia di questa decisione, altre sentenze di merito hanno consolidato l’orientamento: il Tribunale di Vicenza nel 2017 (sent. n. 24/2017) e il Tribunale di Brescia nel 2019 (sent. n. 2841/2019) hanno riconosciuto che la perdita di un cane o gatto può causare un turbamento talmente grave da meritare un risarcimento, poiché incide sulla sfera emotivo-relazionale del proprietario. Tali pronunce sottolineano come il legame con l’animale d’affezione sia ormai considerato un aspetto significativo della vita affettiva della persona, “parte integrante della personalità individuale”, e la sua rottura un evento potenzialmente lesivo di un diritto umano fondamentale.

Un ulteriore passo avanti è rappresentato dal Tribunale di Venezia che, con sentenza del 17 dicembre 2020 (n. 1936/2020), ha ribadito questi concetti in maniera esplicita. Il giudice veneziano ha sostenuto che il rapporto uomo-animale domestico costituisce un “bene della vita” meritevole di tutela, al pari di altri rapporti affettivi familiari. Di conseguenza, anche in assenza di reato, la perdita dell’animale per fatto illecito altrui può integrare un danno non patrimoniale risarcibile, valorizzando il particolare legame affettivo che si instaura con il pet e distinguendolo nettamente dalla perdita di un oggetto qualsiasi.

Il caso emblematico di Prato e l’affermazione del danno risarcibile

La svolta più concreta in questa evoluzione si è avuta con una vicenda giudiziaria recente che ha fatto da cassa di risonanza nazionale. Il Tribunale di Prato, con la sentenza n. 51/2025 depositata nel gennaio 2025, ha per la prima volta condannato espressamente una struttura di custodia di animali a risarcire il danno morale ai proprietari per la morte del loro cane. Il caso riguardava un cane deceduto mentre si trovava in una pensione per animali: dalle indagini emerse che il cane era stato lasciato incustodito e in condizioni igienico-sanitarie precarie, aggravando un improvviso malore fino a provocarne la morte, il tutto senza che i gestori avvisassero tempestivamente i proprietari o chiamassero un veterinario.

Di fronte a questa grave negligenza, il giudice pratese ha riconosciuto ai proprietari non solo il danno patrimoniale (le spese e il valore economico dell’animale), ma anche un danno non patrimoniale per la sofferenza patita. In particolare, il tribunale ha qualificato la perdita del cane come lesione di un interesse di rango costituzionale (la sfera degli affetti della famiglia proprietaria) e ha liquidato in via equitativa una somma a titolo di risarcimento morale per ciascun membro della famiglia colpito dalla perdita. Pur trattandosi di importi contenuti (qualche migliaio di euro a persona), la decisione è altamente significativa: conferma nei fatti che, almeno in sede di merito, la morte di un animale d’affezione può essere riconosciuta come un vero e proprio danno risarcibile. Si tratta di un precedente importante, che potrebbe orientare anche future pronunce e spingere la giurisprudenza di legittimità (la Cassazione) a riesaminare la questione alla luce dei mutati valori sociali.

Quando spetta il risarcimento e quali danni si possono chiedere

Va chiarito che non ogni morte di un animale domestico dà diritto a un risarcimento: perché si configuri la responsabilità civile, è necessario che il decesso sia conseguenza di un comportamento illecito (dolo o colpa) di un soggetto identificabile. In assenza di colpa altrui – ad esempio se l’animale muore per cause naturali, per una malattia improvvisa o per un incidente senza responsabilità di terzi – non vi è spazio per pretese risarcitorie. Il presupposto fondamentale, quindi, è l’ingiustizia del fatto: deve esserci una violazione di legge imputabile a qualcuno (un’omissione, una negligenza, un comportamento malizioso) che abbia causato la morte dell’animale.

Le situazioni tipiche in cui può prospettarsi un risarcimento sono: errore o negligenza professionale del veterinario (ad esempio diagnosi o terapia errata con esito fatale per l’animale), mancata custodia o negligenza di una pensione/pet-sitter (come nel caso di Prato, in cui la struttura non ha sorvegliato né curato adeguatamente l’animale affidato), atto doloso di terzi (il vicino che avvelena il cane o il gatto, il gesto crudele di chi uccide volontariamente l’animale – condotte che integrano anche reato), oppure incidente stradale causato da imprudenza (si pensi a un automobilista che investe l’animale su strada violando le norme: il proprietario potrà chiedere i danni al responsabile). In tutte queste ipotesi sarà fondamentale provare il nesso causale tra la condotta e il decesso del pet, oltre alla colpa del soggetto danneggiante.

Una volta accertata la responsabilità, quali danni si possono ottenere? Sul piano patrimoniale, il proprietario potrà chiedere il rimborso delle spese sostenute (ad es. costi veterinari per tentare di salvare l’animale, spese per la sepoltura o cremazione, eventuale valore commerciale dell’animale se di razza pregiata ecc.). Tuttavia, la vera novità risiede nel riconoscimento del danno non patrimoniale: si tratta del danno morale ed esistenziale consistente nel dolore, nello shock e nel vuoto affettivo provocati dalla perdita dell’animale di casa. Questo pregiudizio, di natura intangibile, era tradizionalmente escluso dalle voci risarcibili, ma nelle pronunce recenti viene ammesso in quanto direttamente connesso alla sfera personale e familiare del proprietario.

È bene comprendere che la quantificazione di tale danno morale è rimessa all’equità del giudice, non esistendo baremes o tabelle standard come per altri tipi di danno (ad esempio il danno biologico da lesioni). Il giudice, nel determinare la somma, terrà conto di vari fattori: l’intensità e durata del legame affettivo tra proprietario e animale, l’età e la situazione familiare del proprietario (una persona sola che perde il suo unico animale da compagnia potrebbe subire un trauma maggiore), le circostanze concrete della morte (una fine particolarmente tragica o traumatica può accentuare la sofferenza), e anche l’eventuale condotta del responsabile dopo l’accaduto (ad esempio la sensibilità o meno dimostrata verso il dolore altrui). In linea di massima, gli importi sinora riconosciuti dalla giurisprudenza italiana per questi casi non sono elevatissimi: si parla di qualche migliaio di euro per la perdita di un cane o gatto, cifre contenute ma simbolicamente importanti perché sanciscono il principio che quel dolore merita considerazione. È comunque fondamentale, ai fini del successo della domanda, fornire al giudice ogni prova utile a dimostrare la profondità del legame e l’impatto che la perdita ha avuto sulla vita del proprietario: testimonianze di amici e parenti, eventuali certificazioni psicologiche se il trauma ha richiesto supporto, foto o documenti che attestino quanto l’animale fosse parte integrante della famiglia, ecc. Tutto ciò aiuterà il tribunale a valutare seriamente la portata del danno morale subito.

Come tutelarsi dopo la perdita di un animale domestico

Affrontare legalmente una vicenda di questo tipo può essere emotivamente difficile, ma è importante sapere come muoversi per far valere i propri diritti. In caso di sospetto atto doloso (avvelenamento, uccisione intenzionale), la prima cosa da fare è sporgere denuncia-querela presso le autorità (Polizia, Carabinieri o Polizia Locale). L’uccisione volontaria di un animale configura infatti il reato di cui all’art. 544-bis c.p., e il maltrattamento crudele rientra nell’art. 544-ter c.p.: atti perseguiti penalmente. Avviando l’azione penale, il proprietario potrà costituirsi parte civile nel processo penale per chiedere il risarcimento dei danni subiti in conseguenza del reato. Questo percorso può portare a una sentenza penale di condanna con contestuale liquidazione dei danni in favore della parte civile, oppure – qualora il responsabile venga riconosciuto colpevole – si potrà far valere la sentenza penale nel successivo giudizio civile per ottenere il risarcimento.

Nel caso di colpa professionale o incidenti, in cui non sempre c’è un reato configurabile, la tutela passa attraverso un’azione civile di risarcimento danni. È consigliabile, appena avvenuto il fatto, raccogliere tutte le prove e i documenti disponibili: cartella clinica e referti del veterinario (se c’è stato un intervento medico), eventuale perizia necroscopica sull’animale per accertare le cause della morte, fotografie delle condizioni in cui è stato trovato il pet, testimonianze di persone informate sui fatti (ad esempio altri clienti della pensione per animali, vicini di casa che hanno visto qualcosa, ecc.). Più elementi oggettivi si hanno, più forte sarà la base probatoria per sostenere la richiesta in tribunale. In parallelo, è opportuno consultare subito un avvocato esperto in materia di responsabilità civile e diritti degli animali: si tratta infatti di un ambito relativamente nuovo e in evoluzione, dove un supporto legale competente può fare la differenza. Un avvocato potrà valutare la fattibilità della causa, quantificare in modo motivato il danno da chiedere (richiamando nelle memorie le nuove sentenze favorevoli) e condurre le trattative con la controparte o la sua assicurazione (ad esempio, nel caso di un veterinario assicurato per la RC professionale, o di un automobilista coperto da polizza RC Auto).

Infine, è importante mantenere ragionevolezza nelle aspettative: ogni caso è a sé, e se è vero che la tendenza va verso una maggiore tutela dei proprietari, dall’altro lato i giudici valuteranno sempre con prudenza ed equilibrio queste richieste, per evitare derive eccessive. L’obiettivo, comunque, non è “dare un prezzo” all’affetto perduto – cosa impossibile – ma ottenere il riconoscimento giuridico che quella perdita non è stata vana e che il responsabile ne risponda, sia pur simbolicamente, davanti alla legge.

Se stai affrontando una vicenda simile o desideri chiarimenti sui tuoi diritti dopo la perdita di un animale domestico, contatta con fiducia lo Studio Legale MP di Verona.

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  • 13 novembre 2025
  • Redazione

Autore: Redazione - Staff Studio Legale MP


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