
Perdere uno o più denti a causa di un errore dentistico o di un trauma non è mai un fatto da poco. La legge italiana considera la lesione dentale come un danno alla persona a tutti gli effetti, risarcibile sia nei suoi aspetti economici sia in quelli non patrimoniali (dolore, danno estetico, sofferenza psicologica). Questo articolo illustra i diritti del paziente leso, le responsabilità legali del dentista e di altri soggetti, e le modalità per ottenere un equo risarcimento, alla luce delle ultime sentenze in materia odontoiatrica
La salute dentale è parte integrante del diritto alla salute tutelato dall’art. 32 della Costituzione. La perdita o rottura di un dente, infatti, non è un banale inconveniente: provoca dolore acuto, difficoltà nel mangiare, problemi nel parlare correttamente e un impatto estetico sul sorriso. Ciò si riflette nella vita quotidiana di chi ne è vittima, generando insicurezza nei rapporti sociali e disagio psicologico. Come ammoniva Miguel de Cervantes, «in molto maggior conto devesi tenere un dente che un diamante»: il valore di un dente sano è inestimabile, e quando viene meno per colpa di qualcuno, la legge interviene a protezione della persona danneggiata.
Primum non nocere (anzitutto, non nuocere) è il principio fondamentale che ogni medico, dentista compreso, deve seguire. Purtroppo, se questo dovere viene violato e il paziente subisce un danno ai denti, sorgono precisi obblighi risarcitori in capo al responsabile. Nel nostro ordinamento chi causa ad altri una lesione ingiusta (sia per negligenza professionale, sia per un incidente o un’aggressione) è tenuto a rispondere dei danni provocati. In altre parole, chi ci fa perdere il sorriso deve renderne conto e riparare il torto.
Una delle situazioni più frequenti di danni dentali risarcibili riguarda gli errori commessi dal dentista (odontoiatra) durante cure e interventi. In questi casi si parla di malpractice odontoiatrica o responsabilità medica del dentista. Dal punto di vista giuridico, il rapporto tra dentista e paziente ha natura contrattuale: quando ci affidiamo a un odontoiatra per un trattamento, si instaura un contratto (anche se non scritto) da cui derivano precisi obblighi di diligenza a carico del medico. Ciò comporta importanti vantaggi probatori per il paziente che agisce in giudizio. Infatti, secondo un consolidato principio della Cassazione, in caso di inadempimento sanitario spetta al medico dimostrare di aver eseguito la prestazione con la dovuta perizia e che gli esiti negativi non dipendono da una sua colpa. Il paziente danneggiato deve provare soltanto di essersi affidato a quel dentista e di aver riportato un danno durante o dopo la cura; sarà poi il professionista, per andare esente da responsabilità, a dover provare che non vi è stato errore oppure che l’eventuale errore non è la causa del danno. Questo principio dell’onere della prova a carico del medico è stato affermato, tra le altre, da Cass. civ., Sez. III, sent. n. 5128/2020, ed è stato ribadito di recente anche in ambito odontoiatrico: ad esempio, la Cassazione ha confermato che in caso di gravi errori in un intervento implantologico è onere del dentista provare l’assenza di nesso causale tra la sua condotta e il peggioramento di salute del paziente. Se il dentista non riesce in questa prova liberatoria, verrà dichiarato responsabile dell’accaduto.
Nella pratica, sono numerosi i casi in cui un paziente ottiene giustizia per cure dentistiche sbagliate. Si pensi a un impianto dentale inserito male, a un’estrazione con danni ai nervi, a una protesi difettosa o a cure canalari errate che aggravano la situazione: in tutti questi esempi il dentista può essere chiamato a rispondere dei danni causati al paziente. Inoltre, la legge n. 24/2017 (cosiddetta Legge Gelli-Bianco) impone al sanitario di dotarsi di un’assicurazione professionale e prevede procedure speciali per tentare una conciliazione (come l’accertamento tecnico preventivo o la mediazione) prima di arrivare al processo: strumenti pensati per favorire un risarcimento più rapido al paziente vittima di malasanità odontoiatrica.
Un aspetto particolare della responsabilità medica è quello del consenso informato del paziente. Ogni trattamento odontoiatrico invasivo (dall’estrazione di un dente all’inserimento di un impianto) richiede per legge che il paziente sia stato informato in modo completo e chiaro su rischi, benefici e alternative, e che abbia quindi espresso un consenso libero e consapevole. Se il dentista omette di informare adeguatamente e il paziente subisce un danno, si può configurare anche una violazione del diritto all’autodeterminazione terapeutica. Tuttavia, la giurisprudenza è molto chiara nel precisare che non ogni mancanza di consenso comporta un risarcimento automatico: bisogna provare che, se fosse stato correttamente informato, il paziente avrebbe rifiutato quell’intervento. In caso contrario, non è risarcibile il semplice disagio di aver subito un trattamento senza piena consapevolezza. La Cassazione civile, Sez. III, ord. n. 15079/2025 ha ribadito questo principio, affermando che il paziente deve dimostrare che, con un’informazione adeguata, avrebbe verosimilmente scelto di non sottoporsi alla cura (ad esempio optando per terapie alternative meno rischiose). Solo in presenza di questa prova scatta il risarcimento anche per la violazione del consenso informato. In sintesi, volenti non fit iniuria: a chi avrebbe comunque acconsentito all’intervento (se correttamente informato) non viene fatto un torto risarcibile, mentre se manca un consenso valido e si dimostra che il paziente avrebbe agito diversamente se avvertito dei rischi, allora potrà ottenere ristoro per la lesione del suo diritto di autodeterminazione.
Le aule giudiziarie italiane degli ultimi tempi hanno affrontato diversi casi di danni ai denti, delineando confini e obblighi in questo campo. Eccone alcuni emblematici:
Danno neurologico da estrazione dentaria: La Cassazione penale (Sez. IV, sent. n. 22474/2025) ha esaminato il caso di una paziente che, durante l’estrazione di un dente del giudizio inferiore, aveva riportato la lesione irreversibile del nervo linguale. L’odontoiatra, nell’eseguire l’intervento, aveva omesso di effettuare i necessari esami radiografici pre-operatori nonostante l’ortopantomografia avesse segnalato un rischio di contatto con il nervo mandibolare. Inoltre aveva proceduto con una manovra eccessivamente invasiva, rimuovendo osso in modo improprio. Il risultato è stato una grave parestesia permanente alla lingua per la paziente. In sede penale il reato è stato dichiarato estinto per prescrizione, ma ciò non ha evitato la condanna del dentista a risarcire la parte civile con circa 15.000 euro per il danno biologico subito. La Suprema Corte ha confermato la responsabilità del medico, sottolineando la negligenza nell’operato e richiamando il dovere di diligenza richiesto al professionista.
Impianti dentali mal eseguiti: Un altro caso significativo viene dal Tribunale di Pavia (sent. 16 giugno 2025, n. 706). Una paziente si era sottoposta a un ciclo di cure odontoiatriche con inserimento di impianti e applicazione di protesi, ma il dentista aveva commesso errori gravi: impianti posizionati scorrettamente, protesi incongrue, mancate verifiche radiografiche. Ne erano derivate infezioni, dolori cronici e un vistoso difetto estetico all’arcata dentale superiore, con difficoltà a masticare e a parlare normalmente. Il Tribunale ha riconosciuto la grave inadempienza del dentista, dichiarando risolto il contratto terapeutico (con obbligo di restituire alla paziente tutte le somme da lei pagate, oltre 8.000 euro) e condannando il convenuto a risarcire i molteplici danni subiti. In particolare, sono stati liquidati: un danno biologico temporaneo (giorni di inabilità dovuti alle cure errate e alle successive terapie correttive), un danno morale e psicologico per il prolungato pregiudizio estetico-funzionale (la donna era rimasta a lungo con un sorriso deturpato e con problemi di igiene orale e fonetica a causa della protesi malfatta), oltre a tutti i danni patrimoniali (costi delle nuove cure riparative, spese mediche aggiuntive e perfino la perdita dei benefici fiscali perché il dentista non aveva emesso fattura). Colpisce in questa sentenza come il giudice abbia riconosciuto un risarcimento anche per l’impatto esistenziale della menomazione estetica: pur non sussistendo una invalidità permanente in punti percentuali (perché la situazione dentale era rimediabile con ulteriori interventi), è stato ritenuto che vivere per anni con un sorriso gravemente compromesso e con disagi quotidiani costituisca un danno non patrimoniale autonomamente meritevole di ristoro.
Complicanze condivise tra più sanitari: In un giudizio d’appello (Corte d’Appello di Bari, sent. n. 88/2025 del 23 gennaio 2025) è stata affrontata una vicenda in cui due diversi dentisti erano intervenuti sullo stesso paziente, con esiti negativi. Il primo odontoiatra aveva iniziato un trattamento invasivo, poi un secondo collega era subentrato per completare le cure, ma la situazione clinica del paziente era peggiorata, con ulteriori danni. La Corte d’Appello ha confermato la responsabilità di entrambi i professionisti, ritenendo che ciascuno avesse contribuito, con negligenza, a non evitare un esito peggiorativo. Di conseguenza, la sentenza ha condannato in solido i due dentisti a risarcire il paziente per aver aggravato le sue condizioni con terapie errate, disponendo anche la risoluzione del contratto e la restituzione di parte dei compensi professionali percepiti. Questo caso evidenzia come ogni sanitario coinvolto in una cura odontoiatrica può essere chiamato a rispondere del risultato complessivo se non vigila adeguatamente sul buon esito delle proprie prestazioni, soprattutto quando opera in equipe o subentra in un trattamento già avviato.
Questi esempi giudiziari dimostrano che i tribunali sono sempre più attenti a tutelare il paziente in ambito odontoiatrico. Quando vi è stata imperizia, negligenza o imprudenza da parte del dentista, il diritto al risarcimento viene riconosciuto con fermezza. Va però ricordato che ogni caso è a sé: l’esito dipende dalle prove raccolte e dalla gravità concreta del danno. Ad esempio, non sempre un infortunio che causa denti rotti dà luogo a un indennizzo: se manca una colpa di terzi, l’evento può essere considerato una fatalità. È emblematico un caso deciso dal Tribunale di Roma (sent. n. 14458/2025), in cui un alunno si era fratturato due denti giocando a scuola (urto accidentale contro un palo durante la ricreazione): i genitori chiesero 26.000 euro di risarcimento, ma i giudici esclusero la responsabilità della scuola, qualificando l’episodio come evento imprevedibile e occasionale, non dovuto a carenza di vigilanza. Dunque, la presenza di un danno non basta: serve dimostrare l’omissione o l’errore altrui. Per questo è fondamentale, in ogni vicenda, valutare attentamente le circostanze e affidarsi a esperti che sappiano individuare gli elementi utili a provare la colpa del responsabile.
Chi subisce una lesione ai denti può chiedere il risarcimento di diversi tipi di danno, sia economici (danni patrimoniali) sia legati alla persona in sé (danni non patrimoniali). In concreto, le principali voci risarcitorie in caso di danni dentali sono:
Spese mediche e di cura: tutti i costi sostenuti (o da sostenere in futuro) per rimediare al danno. Rientrano in questa voce le spese per visite specialistiche, radiografie, interventi chirurgici correttivi (come l’installazione di impianti o ponti per sostituire denti perduti), protesi dentarie, cure riabilitative, farmaci antidolorifici, ecc. È fondamentale conservare ricevute e fatture di queste spese, poiché costituiscono danno emergente documentabile.
Perdite di guadagno e ripercussioni economiche: se a causa del problema dentale la persona ha dovuto interrompere l’attività lavorativa o ha visto ridotta la propria capacità di lavoro, può ottenere il risarcimento del lucro cessante. Ad esempio, periodi di assenza dal lavoro per sottoporsi a cure (con conseguente perdita di reddito) oppure il mancato avanzamento di carriera dovuto a problemi di eloquio o di immagine. In casi gravi, se il danno incide sulla capacità lavorativa specifica (si pensi a chi lavora a contatto col pubblico e subisce un deturpamento del sorriso), può essere riconosciuto un ulteriore indennizzo.
Danno biologico: è il cuore del danno non patrimoniale. Consiste nella lesione dell’integrità psicofisica della persona, comprensiva sia degli aspetti funzionali sia di quelli estetico-relazionali. Viene di solito quantificato tramite una perizia medico-legale che valuta l’invalidità permanente (in punti percentuali) e l’invalidità temporanea (i giorni di inabilità totale o parziale). Ad esempio, la perdita di un incisivo in giovane età può essere valutata con qualche punto di invalidità permanente per il pregiudizio estetico-funzionale; una frattura dentaria con dolore acuto comporterà invece un periodo di inabilità temporanea. Il risarcimento in denaro del danno biologico viene calcolato applicando apposite tabelle (spesso si utilizzano le Tabelle del Tribunale di Milano, considerate standard nazionali) che assegnano un valore monetario a ogni punto percentuale di invalidità, valore poi aumentato in base all’età della vittima e personalizzato secondo la gravità del caso. Da notare che il danno estetico specifico (ad esempio un sorriso deturpato) non costituisce una categoria a sé stante, ma viene valutato all’interno del danno biologico: i giudici tengono conto dell’impatto estetico sulle relazioni personali aumentando la percentuale di invalidità o la somma liquidata, se il volto risulta visibilmente compromesso.
Danno morale: riguarda la sofferenza interiore, lo stato di ansia, paura, vergogna e prostrazione d’animo provato dalla vittima a causa dell’evento. Nel caso di un danno ai denti, il danno morale si può concretizzare nel dolore fisico patito (si pensi alle nevralgie lancinanti dopo un intervento sbagliato) e nel turbamento emotivo conseguente (depressione, imbarazzo a mostrarsi in pubblico, perdita di fiducia in sé). Questo aspetto soggettivo viene di solito liquidato dal giudice in via equitativa, spesso come percentuale aggiuntiva sul danno biologico a seconda dell’intensità della sofferenza. Ad esempio, nel già citato caso del Tribunale di Pavia, è stato riconosciuto un significativo risarcimento per il danno morale-psicologico legato al marcato inestetismo e ai disagi relazionali patiti dalla paziente.
Danno esistenziale: è un’ulteriore sfaccettatura del danno non patrimoniale, spesso considerato come parte integrante del danno biologico/morale. In termini descrittivi, indica le ripercussioni negative sulle abitudini di vita della persona. Ad esempio, chi subisce gravi problemi dentali può cambiare il proprio stile di vita: rinunciare a uscire a cena, evitare occasioni sociali o attività prima praticate con piacere, a causa dell’imbarazzo o delle difficoltà funzionali (mangiare, parlare) legate al danno. Anche queste limitazioni della sfera personale possono essere tenute in considerazione nel quantificare il risarcimento, per assicurare che la vittima sia compensata in modo completo di tutte le conseguenze subìte.
Va sottolineato che il risarcimento deve coprire tutti questi aspetti senza però duplicazioni ingiustificate. Il giudice ha il compito di evitare che una stessa voce di danno venga indennizzata due volte con nomi diversi, ma al contempo deve valutare separatamente tutte le sfumature del pregiudizio per garantire alla vittima un ristoro integrale. L’orientamento attuale della Cassazione è di procedere a una liquidazione unitaria del danno non patrimoniale, ben motivata nelle sue componenti. Ciò significa che nella sentenza si darà conto del danno biologico, del danno morale, di quello estetico-relazionale, ecc., ma poi la somma viene unificata in un importo globale. Ciò che importa è che il risultato finale assicuri un equo risarcimento di tutte le conseguenze subite: fisiche, psichiche, estetiche, relazionali ed economiche.
Chi ritiene di aver subito un grave danno ai denti per responsabilità altrui deve attivarsi tempestivamente per far valere i propri diritti. Il primo passo è raccogliere tutta la documentazione: cartella clinica odontoiatrica, radiografie, preventivi e ricevute, certificati medici che attestino le lesioni ai denti e le cure necessarie. Se si tratta di un possibile caso di errore medico del dentista, è consigliabile rivolgersi quanto prima a un avvocato con esperienza in responsabilità sanitaria. Il legale potrà valutare il caso con l’aiuto di un consulente medico-legale odontoiatra di fiducia, per capire se vi sono stati effettivamente imperizia o altri profili di colpa professionale.
Spesso, prima di avviare una causa, si tenta la via stragiudiziale: l’avvocato invierà una richiesta di risarcimento al dentista e alla sua assicurazione (tutti i medici oggi devono essere assicurati per legge). Se si riesce a trovare un accordo transattivo, il paziente può ottenere un risarcimento in tempi relativamente brevi. In mancanza di accordo, si può procedere con la giustizia ordinaria. Dal 2017, per le controversie di malasanità è obbligatorio esperire un tentativo di conciliazione prima del giudizio: tipicamente si può avviare un procedimento di accertamento tecnico preventivo con nomina di un consulente tecnico d’ufficio (CTU) oppure un tentativo di mediazione civile. Queste fasi servono a favorire una soluzione bonaria: un perito imparziale valuta il caso e può facilitare un accordo tra paziente e medico/assicurazione. Se anche questo step fallisce, allora si introduce la causa civile vera e propria per ottenere in tribunale il risarcimento dovuto.
È importante tenere presente i termini di prescrizione del diritto al risarcimento. Per la responsabilità medica di natura contrattuale il termine è di 10 anni dall’evento dannoso (o dalla scoperta del danno, in alcune ipotesi), ma è sempre preferibile muoversi rapidamente, sia per evitare decadenze sia perché col tempo le prove tendono a disperdersi. Se invece il danno ai denti deriva da un fatto extracontrattuale (ad esempio un incidente stradale, un’aggressione, una caduta in un locale pubblico), si applica la prescrizione quinquennale (5 anni) prevista dall’art. 2947 c.c. In questi casi, inoltre, il danneggiato deve provare la colpa altrui: ad esempio, nel sinistro stradale sarà utile il verbale delle autorità o le testimonianze per dimostrare la dinamica; se ci si è fatti male per una caduta, bisogna provare che vi era una situazione di pericolo trascurata dal responsabile della proprietà, e così via. Una volta accertata la responsabilità, la quantificazione dei danni segue i criteri già descritti (danno biologico, morale, spese, ecc.), eventualmente con l’ausilio di un CTU nominato dal giudice.
In qualsiasi scenario – che si tratti di malasanità dentistica o di un trauma accidentale – affidarsi a un legale è fondamentale per tutelare efficacemente i propri interessi. Un avvocato preparato saprà individuare tutte le voci di danno risarcibili, raccogliere le prove necessarie (anche avvalendosi di consulenti tecnici) e affrontare l’iter legale più opportuno, sia esso una trattativa stragiudiziale o una causa in tribunale. Se avete subito un danno ai denti, non bisogna scoraggiarsi: la legge offre strumenti chiari per ottenere giustizia e un equo ristoro economico. Pur trattandosi di un percorso spesso tecnico e impegnativo, il risultato non è solo materiale ma anche morale: vedersi riconosciuto il torto subito significa poter guardare al futuro con rinnovata serenità, tornando a sorridere senza paura.
Redazione - Staff Studio Legale MP