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Pignoramento conti correnti: svolta della Cassazione - Studio Legale MP - Verona

Le nuove sentenze rafforzano i poteri dei creditori: il conto corrente pignorato resta bloccato per 60 giorni anche se inizialmente vuoto, con effetti pesanti.

La Corte di Cassazione ha rivoluzionato la disciplina del pignoramento dei conti bancari. Una recente pronuncia impone alle banche di bloccare anche gli accrediti successivi alla notifica del pignoramento, per un periodo di 60 giorni, persino se il conto era a saldo zero. Questo articolo esamina le novità giurisprudenziali recenti sul recupero crediti e offre consigli pratici per affrontare le esecuzioni forzate.

La Cassazione rivoluziona il pignoramento: conto bloccato 60 giorni anche se vuoto. Scopri cosa cambia e come difendersi nelle esecuzioni forzate.

La sentenza “shock” sul conto corrente vuoto

Dura lex, sed lex: la legge può sembrare implacabile, ma va applicata. Con una decisione destinata a far discutere, la Cassazione ha stabilito un principio dirompente in materia di pignoramento di conti correnti. In particolare, la Cass. civ., Sez. III, sent. n. 28520/2025 (depositata il 27 ottobre 2025) ha chiarito che, quando il Fisco procede al pignoramento di un conto bancario, il vincolo si estende automaticamente a tutte le somme che vi saranno accreditate nei 60 giorni successivi alla notifica dell’atto, anche se il conto al momento del pignoramento è vuoto o in rosso. In altri termini, il conto diventa una “trappola” temporale: per i successivi due mesi ogni bonifico in arrivo, stipendio, pensione o entrata di qualsiasi genere viene catturato e trasferito al creditore procedente (nel caso esaminato, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione). Non esistono più conti “inattaccabili” solo perché privi di fondi al momento dell’accesso dell’ufficiale giudiziario. La Suprema Corte ridefinisce così i confini del pignoramento esattoriale previsto dall’art. 72-bis del D.P.R. 602/1973, sancendo che il blocco opera come un “sequestro a tempo”: durante quei 60 giorni, ogni euro in entrata sul conto pignorato va custodito dalla banca (terzo pignorato) e girato al creditore fino a soddisfare il credito vantato. La ratio di questa svolta è impedire che il debitore possa eludere l’esecuzione svuotando preventivamente il conto o attendendo che l’atto perda efficacia.

Questa interpretazione ha effetto principalmente nei pignoramenti esattoriali (quelli avviati dal Fisco, che seguono procedure speciali senza passare dal tribunale). Nei pignoramenti ordinari promossi da creditori privati, la banca terza pignorata normalmente blocca le somme presenti al momento della notifica e deve dichiarare eventuali crediti del debitore esistenti in quel momento. Finora, per i crediti futuri valeva il principio che il pignoramento presso terzi colpisce le somme dovute dal terzo al debitore “nel limite di quanto esistente o dovuto ex art. 546 c.p.c.”. Se il conto era a zero, il pignoramento di un creditore privato rischiava di andare a vuoto, a meno di reiterare l’atto. Con la pronuncia della Cassazione, almeno per le procedure fiscali, si afferma invece che il vincolo si protrae nel tempo per due mesi. È possibile che questo orientamento, fondato su una norma speciale, resti circoscritto ai crediti erariali; tuttavia, la linea di tendenza è chiara: il legislatore e i giudici stanno rafforzando i poteri dei creditori e rendendo più difficile per i debitori sottrarsi all’esecuzione.

Effetti concreti per debitori e creditori

Le implicazioni pratiche della sentenza sono notevoli. Dal lato del debitore esecutato, viene smentita la convinzione (un po’ diffusa in passato) che un conto incapiente non fosse pignorabile. Ora anche un conto a saldo zero può essere agganciato e “messo in attesa”: qualsiasi somma vi affluisca entro i successivi 60 giorni finirà automaticamente congelata e destinata al creditore procedente. Ciò significa, ad esempio, che se il debitore riceve lo stipendio o un bonifico di qualunque tipo nelle settimane successive al pignoramento, quei soldi verranno immediatamente bloccati dalla banca e girati per pagare il debito. Immaginiamo un contribuente che scopre di avere il conto pignorato da Agenzia Entrate-Riscossione e pensa di essere al sicuro perché il saldo è zero: in realtà, ogni nuova entrata sarà catturata. «Nemo solvit nisi periculo» – nessuno paga il debito senza rischio – sembra essere il nuovo monito: il debitore non può più fare affidamento su “zone franche” temporanee.

Dal lato del creditore, specie quello pubblico, la pronuncia rappresenta un notevole potenziamento degli strumenti di riscossione. La banca, quale terzo pignorato, diventa obbligata non solo a congelare le somme presenti, ma anche a custodire e versare tutte quelle che maturano entro il termine stabilito. Questo garantisce al creditore di intercettare entrate future del debitore senza dover intraprendere nuovi atti esecutivi per ciascun accredito. In un certo senso, la Cassazione trasforma il pignoramento presso terzi in un meccanismo “a cattura continua” per due mesi. I 60 giorni, ha precisato la Corte, non sono un periodo di sospensione passiva, ma un vero “periodo di cattura” durante il quale il conto corrente resta sotto controllo del procedimento esecutivo. Al termine dei 60 giorni, se il debito non è stato soddisfatto integralmente e il conto risulta ancora vuoto, il vincolo decadrà; ma intanto il creditore avrà potuto rastrellare qualunque importo transitato in conto in quel frangente.

Va sottolineato che queste regole si inseriscono in un contesto normativo in evoluzione. È in arrivo dal 1º gennaio 2026 un nuovo Testo Unico della Riscossione (D.Lgs. 33/2025) che dovrebbe confermare in gran parte tali meccanismi per i pignoramenti fiscali, razionalizzando le procedure e le comunicazioni telematiche. La Cassazione (sent. n. 28520/2025) ha persino citato questo decreto di prossima applicazione, a riprova della volontà di dare continuità alla stretta sulla riscossione.

Tutele del debitore: stipendio, pensione e prima casa

Di fronte a un panorama così severo, quali spazi di tutela restano per il debitore? La legge prevede alcuni limiti all’aggressione di stipendi e pensioni, ma occorre conoscerli bene. Se il pignoramento colpisce direttamente lo stipendio presso il datore di lavoro o la pensione presso l’INPS, restano valide le soglie tradizionali: generalmente un quinto dello stipendio/pensione è pignorabile (salvo casi particolari), assicurando una quota libera per il sostentamento. Tuttavia, quando lo stipendio viene accreditato sul conto corrente e poi il conto viene pignorato, la tutela si riduce. Attualmente, grazie a interventi legislativi recenti, sul conto l’ultimo accredito di stipendio o pensione antecedente al pignoramento resta impignorabile fino a un importo pari al triplo dell’assegno sociale (circa 1.500 euro). Ma oltre tale limite, e per le somme già depositate da più tempo, anche i proventi da lavoro o pensione diventano denaro come un altro e possono essere interamente bloccati dal creditore. Le Sezioni Unite della Cassazione hanno sancito questo principio (v. Cass. Sez. Un. n. 26042/2018), evidenziando che una volta confluiti in banca, i soldi perdono la “etichetta” di salario. Dunque, in caso di pignoramento del conto, al debitore rimarrà intatta solo l’ultima mensilità entro i limiti di legge, mentre il resto rischia di essere prelevato. È una prospettiva preoccupante per chi vive di stipendio o pensione: va pianificato con attenzione il proprio budget ed eventualmente spostati i pagamenti su conti di terzi non attaccabili, sempre però agendo nella legalità (ogni manovra fraudolenta potrebbe essere contestata).

Un’ancora di salvezza significativa per i debitori rimane la prima casa: l’abitazione principale, in presenza di determinate condizioni, non può essere pignorata dal Fisco. La legge (D.P.R. 602/1973, art. 76 modificato nel 2013) vieta all’Agenzia delle Entrate di espropriare l’unico immobile di proprietà del debitore, se adibito a civile abitazione e residenza dello stesso, purché il debito sia sotto una certa soglia (attualmente 120.000 euro). Questo principio, confermato anche di recente (si veda ad es. Cass. civ., Sez. VI, ord. n. 32759/2024), fa sì che il contribuente moroso non rischi di perdere la propria casa salvo casi eccezionali. Attenzione però: tale protezione vale solo per il Fisco; un creditore privato (banca, finanziaria, ecc.) può invece pignorare anche l’unica casa del debitore, non essendo soggetto a quel divieto (salvo che la casa non sia già ipotecata a garanzia di crediti fiscali). In ogni caso, la prima casa resta non ipotecabile né pignorabile da Agenzia Entrate-Riscossione, il che offre al debitore un minimo di tranquillità sul fronte abitativo, a fronte però di una crescente incisività su redditi e conti correnti.

Rigore formale: il credito si tutela anche con le regole

Se la Cassazione sembra aver stretto le maglie contro i debitori, non ha tuttavia mancato di richiamare all’ordine anche i creditori sul rispetto rigoroso delle procedure. Proprio in parallelo alla sentenza sul conto corrente, la Suprema Corte ha emesso un altro provvedimento cruciale: con Cass. civ., Sez. III, sent. n. 28513/2025 (27 ottobre 2025) è stato stabilito che il pignoramento deve essere dichiarato inefficace se il creditore procedente non deposita tempestivamente le copie conformi degli atti necessari. In base agli artt. 543 e 557 c.p.c., entro un termine perentorio dopo la notifica l’avvocato del creditore deve iscrivere a ruolo la procedura esecutiva, depositando in tribunale le copie conformi del titolo esecutivo, del precetto e dell’atto di pignoramento. Ebbene, nella vicenda esaminata il creditore aveva depositato entro i 15 giorni previsti copie prive dell’attestazione di conformità agli originali; aveva cercato poi di rimediare producendo gli originali in udienza, ma senza successo. La Cassazione ha confermato il rigore: il mancato deposito, entro il termine, delle copie conformi degli atti comporta l’inefficacia del pignoramento e l’estinzione del processo esecutivo, e non può essere sanato ex post neppure depositando tardivamente le attestazioni di conformità. Questo monito implica che anche i creditori devono fare estrema attenzione alle formalità, perché un errore o un ritardo burocratico può vanificare l’intera azione esecutiva. Da un lato dunque conti correnti bloccati e accrediti sequestrati, dall’altro la necessità di rispettare pedissequamente i passi procedurali: il processo di esecuzione forzata si conferma un terreno tecnico dove ogni dettaglio conta.

Un’altra recente tendenza giurisprudenziale tutela l’equilibrio del contraddittorio nelle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento. Ad esempio, la Cassazione (Sez. I, sent. n. 5157/2025) ha affrontato il tema dei piani del consumatore e dei soggetti legittimati a impugnarne l’omologazione. In questa pronuncia dell’aprile 2025, la Corte ha affermato che solo chi ha assunto la qualità di parte nel giudizio di omologazione (ad esempio il debitore stesso o i creditori opponenti) può proporre reclamo contro il decreto di omologa. Un creditore rimasto passivo in primo grado, pur se informato, non può intervenire successivamente per impugnare la decisione. Tale orientamento mira a evitare che creditori “dormienti” blocchino all’ultimo momento procedure di accordo già approvate, garantendo maggior certezza agli esiti dei piani di ristrutturazione dei debiti. È un bilanciamento interessante: se da un lato si potenziano i mezzi di recupero per i creditori diligenti, dall’altro si impediscono azioni tardive che potrebbero frustrare gli sforzi di risanamento del debitore effettuati secondo le regole. In sintesi, la buona fede e la tempestività vengono premiate su entrambi i fronti.

Come reagire: soluzioni legali e strategie di difesa

Di fronte a questa stretta sui pignoramenti, il debitore non è del tutto privo di risorse. Non c’è panico, c’è piano: la legge offre strumenti per attenuare gli effetti più gravosi delle esecuzioni e, in certi casi, uscirne definitivamente. In un antico dramma shakespeariano, il saggio Polonio consigliava al figlio: «Non fare né prestiti né debiti; perché chi presta perde insieme denaro e amico». Nella realtà odierna può capitare di trovarsi indebitati nostro malgrado; tuttavia, ignorare il problema non farà che peggiorare la situazione. Ecco alcune mosse che un debitore accorto può attuare:

Contattare subito il creditore e valutare un accordo: Ad esempio, con il Fisco è spesso possibile richiedere una rateizzazione del debito. Pagare anche solo la prima rata di un piano di dilazione può sospendere il pignoramento in corso (a patto che il giudice non abbia ancora assegnato definitivamente le somme al creditore). Rateizzare conviene anche con altri creditori, se disponibili: dimostra la volontà di pagare e blocca le azioni esecutive durante il pagamento dilazionato. Importante agire prima che il pignoramento produca effetti irreversibili.

Verificare la regolarità formale dell’atto: Un avvocato esperto può controllare se il pignoramento notificato presenta vizi procedurali (errori nell’atto, notifica invalida, mancato rispetto dei termini di deposito in tribunale come nel caso della sentenza n. 28513/2025 sopra citata). In presenza di irregolarità sostanziali, è possibile proporre un’opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi, per chiedere al giudice di dichiarare nullo o inefficace il pignoramento. Ad esempio, se l’atto è stato notificato su un conto cointestato e il debito è solo a carico di uno dei cointestatari, vi sono tutele specifiche per l’innocente (il cointestatario non debitore può ottenere lo sblocco parziale dei suoi fondi, secondo la recente giurisprudenza di merito).

Sfruttare le procedure da sovraindebitamento: Per chi si trova sommerso dai debiti e non vede via d’uscita, la legge mette a disposizione strumenti come il piano del consumatore o la liquidazione controllata (ex legge 3/2012, oggi Codice della Crisi). Avviando una di queste procedure, si ottiene immediatamente la sospensione delle azioni esecutive (il cosiddetto “automatic stay” o blocco delle procedure). Se il piano viene omologato dal giudice, i debiti vengono ristrutturati o in parte cancellati; con la liquidazione del patrimonio si può arrivare alla esdebitazione, ossia alla cancellazione totale dei debiti residui per il debitore onesto ma sfortunato. È un percorso non semplice, che richiede trasparenza e la guida di professionisti qualificati, ma rappresenta la vera seconda chance prevista dall’ordinamento. Come ha ricordato la stessa Cassazione in varie sentenze del 2025, uscire dal sovraindebitamento si può, legalmente e definitivamente, purché ci si attivi per tempo e con serietà.

Proteggere i beni essenziali: Oltre alla prima casa, che come visto il Fisco non può toccare in molti casi, il debitore può valutare altre azioni per mettere al sicuro ciò che è vitale. Ad esempio, se teme il pignoramento di strumenti indispensabili per la propria attività lavorativa (computer, attrezzi, automezzo per un artigiano ecc.), va ricordato che alcuni beni sono impignorabili per legge (art. 514 c.p.c. e seguenti): gli oggetti di uso quotidiano, di culto, i ricordi di famiglia, e gli strumenti di lavoro strettamente necessari non possono essere espropriati. Anche una parte dei depositi sul conto potrebbe essere dichiarata impignorabile se proveniente da indennità o crediti aventi tale natura (es. assegni di mantenimento, alcune indennità assicurative). In sede di esecuzione, queste questioni vanno sollevate al giudice attraverso incidenti di cognizione (opposizioni o istanze di dichiarazione di improcedibilità parziale).

In ogni caso, il punto chiave è non rimanere inerti. Quando arriva un atto di pignoramento, la tentazione di ignorarlo o di confidare in qualche cavillo può essere forte, ma è un errore gravissimo. “Il tempo è denaro” dice il proverbio: nel campo delle esecuzioni, il tempo perso può costare caro. Se si reagisce prontamente, invece, ci sono margini per limitare i danni o addirittura capovolgere la situazione (ad esempio convertendo il pignoramento in un pagamento dilazionato, oppure annullandolo per vizi). Un confronto immediato con un legale di fiducia permette di valutare la strategia più opportuna: dalla trattativa stragiudiziale all’azione in tribunale.

Conclusioni

Le novità giurisprudenziali del 2025 delineano un quadro più duro per i debitori, in cui ogni risorsa finanziaria rilevabile può essere aggredita e le scappatoie si riducono. Allo stesso tempo, il sistema mantiene un equilibrio di garanzie: chi agisce entro le regole e con onestà può ancora trovare tutela. I creditori vedono rafforzati i loro diritti (conti bloccati, procedure rapide), ma devono rispettare formalità stringenti; i debitori subiscono una stretta (pignoramenti estesi nel tempo, pochi beni realmente al sicuro), ma hanno a disposizione strumenti come la rateizzazione, le opposizioni legali e le procedure di sovraindebitamento per riprendere fiato e ripartire.

In definitiva, “omne debitum solvendum est” – ogni debito va pagato – ma il come e il quando possono essere negoziati o giudizialmente modulati. Affrontare un pignoramento richiede lucidità e prontezza: informarsi sui propri diritti è il primo passo. La lex può essere dura, ma conoscere la lex è la miglior arma per difendersi.

Se ti trovi in difficoltà a causa di debiti o di un pignoramento, non aspettare che la situazione precipiti: un intervento tempestivo può fare la differenza tra perdere tutto e salvare il salvabile.

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  • 20 novembre 2025
  • Redazione

Autore: Redazione - Staff Studio Legale MP


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