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Patti prematrimoniali: svolta della Cassazione - Studio Legale MP - Verona

La Cassazione legittima per la prima volta i patti prematrimoniali. La Corte riconosce validi gli accordi economici tra coniugi in vista di separazione o divorzio, purché rispettino diritti indisponibili e limiti di legge.

 

«Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è infelice a suo modo.» – Lev Tolstoj, Anna Karenina

Ogni crisi coniugale è diversa e porta con sé questioni economiche e personali uniche. Per anni il legislatore italiano ha ignorato la possibilità di regolare in anticipo le conseguenze di un’eventuale separazione o divorzio. I cosiddetti patti prematrimoniali (detti anche accordi pre-divorzio) erano considerati un tabù giuridico: qualsiasi intesa tra futuri coniugi o coniugi riguardante la fine del matrimonio veniva ritenuta nulla per illiceità della causa, poiché ritenuta contraria ai doveri inderogabili sanciti dagli articoli 143 e 160 del Codice Civile (che stabiliscono obblighi di fedeltà, coabitazione, assistenza morale e materiale tra coniugi). In altre parole, si riteneva che prevedere “a tavolino” gli effetti patrimoniali di un fallimento matrimoniale fosse inammissibile, temendo che facilitasse i divorzi o ledessse i diritti del coniuge più debole. La massima tradizionale era chiara: il matrimonio non può essere accompagnato da condizioni risolutive o da contratti che ne disciplinino lo scioglimento in anticipo.

Il quadro tradizionale: divieto di patti in vista del divorzio
Storicamente, la giurisprudenza italiana ha respinto i tentativi di dare efficacia ai patti prematrimoniali. Già negli anni ’90 e 2000 la Cassazione aveva sancito l’invalidità degli accordi con cui i coniugi cercavano di fissare anticipatamente gli assetti economici del futuro divorzio. Il principio era che i diritti derivanti dal matrimonio – in particolare il diritto all’assegno divorzile e il dovere di mantenimento – sono diritti indisponibili, non barattabili né derogabili per accordo privato prima della crisi coniugale. Eventuali intese in tal senso venivano dichiarate nulle. Ad esempio, un patto in cui uno sposo rinuncia sin da subito a chiedere l’assegno di divorzio o accetta una somma forfettaria predeterminata era considerato nullo perché contra ius: interferiva con la futura valutazione del giudice e con la tutela dovuta al coniuge economicamente più debole. Si riteneva che l’assetto dei rapporti economici post-coniugali dovesse essere stabilito solo al momento della separazione o del divorzio, sotto il controllo dell’autorità giudiziaria, e non poteva essere “contrattato” in precedenza. Questo orientamento rigido derivava anche da una visione tradizionale secondo cui l’interesse pubblico alla stabilità della famiglia prevaleva sull’autonomia privata dei coniugi.

“Pacta sunt servanda” e autonomia contrattuale dei coniugi
Nonostante il divieto, nell’ombra dell’ordinamento serpeggiava l’idea che in fondo pacta sunt servanda, ovvero che gli accordi liberamente sottoscritti dovrebbero essere rispettati. Col tempo, la società è cambiata e anche il diritto di famiglia ha iniziato ad evolvere verso una maggiore enfasi sull’autonomia negoziale. Il legislatore stesso ha aperto alcuni spiragli: ad esempio, con la legge n. 162/2014 (che ha introdotto la negoziazione assistita) ha consentito ai coniugi di concordare tra loro le condizioni della separazione o del divorzio consensuale, poi sottoposte al vaglio del giudice. Ma resta una differenza fondamentale: quelle intese avvengono dopo che la crisi coniugale è conclamata (in sede di separazione o divorzio già pendenti), non prima. Il vero tabù riguardava gli accordi conclusi prima che il matrimonio finisse, per pianificare cosa succederà se ci si separerà in futuro. Fino al 2025, la risposta era sempre stata negativa. Tuttavia, alcuni precedenti giurisprudenziali avevano gettato i semi del cambiamento: ad esempio, Cass. civ. n. 23713/2012 e Cass. civ. n. 19304/2013 avevano riconosciuto valida la promessa di restituzione di una somma di denaro tra coniugi, condizionata all’evento futuro della separazione. In quei casi, un coniuge aveva prestato denaro all’altro per esigenze familiari, con l’accordo che tale somma sarebbe stata restituita solo in caso di separazione: la Cassazione ritenne lecito questo patto, qualificandolo come mutuo con condizione sospensiva lecita (l’eventuale separazione), non contrario all’ordine pubblico. Si trattava di spiragli che lasciavano intravedere una possibilità di accordi preventivi, se limitati a regolare partite patrimoniali ben definite e non lesivi di diritti fondamentali.

La svolta della Cassazione nel 2025
La rivoluzione copernicana è arrivata con un provvedimento destinato a fare storia: Cass. civ., Sez. I, ord. n. 20415/2025 (depositata il 14 luglio 2025). Con questa ordinanza, la Suprema Corte ha per la prima volta affermato esplicitamente la liceità di un accordo stipulato tra coniugi in previsione di un’eventuale separazione. Il caso concreto riguardava una coppia in cui la moglie aveva contribuito con il proprio stipendio al pagamento del mutuo e alla ristrutturazione di un immobile intestato solo al marito, e anche a incrementare il patrimonio familiare con somme provenienti da un’eredità ricevuta dai suoi genitori. Anni prima di ogni crisi, marito e moglie avevano sottoscritto una scrittura privata in cui riconoscevano questi apporti economici e stabilivano che, in caso di separazione, il marito avrebbe dovuto corrispondere alla moglie una somma (146.400 euro) a titolo di riequilibrio, mentre la moglie avrebbe rinunciato in favore del marito ad alcuni beni (un’imbarcazione, gli arredi di casa e somme depositate su un conto corrente). Quando poi effettivamente la coppia è giunta alla separazione, il marito ha cercato di sottrarsi a quella promessa di pagamento, sostenendo in giudizio che quel patto prematrimoniale fosse nullo perché contrario all’ordine pubblico matrimoniale e ai doveri coniugali. Sia il Tribunale di Mantova che la Corte d’Appello di Brescia hanno però dato torto al marito, ritenendo valido l’accordo. La vicenda è così giunta in Cassazione, offrendo alla Corte l’occasione per pronunciarsi in modo innovativo sulla questione.

E la Cassazione non ha esitato a tracciare un nuovo percorso: con l’ordinanza n. 20415/2025 ha respinto il ricorso del marito e confermato la validità del patto prematrimoniale. La Corte ha definito quell’accordo un “contratto atipico con condizione sospensiva lecita, espressione dell’autonomia negoziale dei coniugi, diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela ex art. 1322 c.c.”. In sostanza, i giudici supremi hanno riconosciuto che nulla vieta, in linea di principio, un accordo privato fra coniugi in cui si regolamentino determinati effetti patrimoniali subordinandoli al verificarsi dell’evento futuro e incerto della separazione. L’evento separazione non è visto come la “causa” del contratto (che altrimenti suonerebbe come un accordo per divorziare, il che sarebbe illecito), ma solo come una condizione che fa scattare obblighi voluti dalle parti. In altri termini, il matrimonio che “fallisce” non è oggetto dell’accordo, bensì l’evento cui è collegato l’impegno di trasferire somme o beni tra coniugi, impegno assunto in precedenza in previsione di quel possibile fallimento.

La Cassazione ha sottolineato come un simile patto miri a porre fine ad alcune controversie patrimoniali tra i coniugi, evitando future liti, e non incide sui diritti e doveri coniugali finché il matrimonio dura. In questo senso, gli Ermellini hanno evidenziato che non si tratta di un negozio che lede l’istituto familiare, ma anzi può essere visto come uno strumento per risolvere in modo concordato e consapevole le questioni economiche, qualora il matrimonio dovesse cessare. Questa prospettiva sposa una visione più moderna e realistica del diritto di famiglia: la Corte ha riconosciuto che oggi l’autodeterminazione delle persone è un valore da tutelare, anche nelle vicende matrimoniali, e che la famiglia non è più concepita come un’entità “superiore” totalmente avulsa dalla volontà dei singoli membri. Come afferma la stessa ordinanza, non si può più sostenere un astratto “interesse superiore della famiglia” che annulla l’autonomia individuale: i coniugi possono accordarsi, con il limite del rispetto dei diritti indisponibili, su aspetti patrimoniali (e perfino personali) della loro vita familiare. Emblematica, a tal proposito, è la citazione di un precedente: la Cassazione ricorda di aver già ammesso che i coniugi possano persino concordare in anticipo questioni personali come l’affidamento dei figli e le modalità di visita, purché sotto controllo giudiziario e nell’interesse dei minori (richiamando Cass. civ. n. 18066/2014). Ciò dimostra un chiaro cambio di paradigma: l’autonomia negoziale entra nel diritto di famiglia dalla porta principale, sempre bilanciata dalla tutela dei soggetti deboli.

Validità e limiti dei patti prematrimoniali
È importante evidenziare che il riconoscimento di validità dei patti prematrimoniali non è assoluto e senza condizioni. La Cassazione ha tracciato confini ben precisi entro cui tali accordi sono leciti. In primo luogo, **non devono riguardare aspetti coperti da indisponibilità assoluta. Ad esempio, un patto non può limitare la libertà di difesa di un coniuge in un futuro divorzio né predefinire in modo vincolante il diritto all’assegno divorzile. Su questo punto la Corte è stata chiara: resta fermo il suo orientamento tradizionale secondo cui gli accordi che fissano in sede di separazione le condizioni economiche di un futuro divorzio (ad esempio stabilendo in anticipo che non vi sarà assegno divorzile o che sarà di un certo importo) sono nulli. L’assegno divorzile, avendo natura assistenziale e di solidarietà post-coniugale, è un diritto indisponibile e non può essere oggetto di rinuncia preventiva esplicita o implicita. Pertanto un patto prematrimoniale non può prevedere la rinuncia all’assegno divorzile o la sua quantificazione anticipata, né può contenere clausole che dissuadano un coniuge dal far valere i propri diritti in giudizio (sarebbero clausole che “circoscrivono la libertà di difendersi in giudizio”, e quindi illecite). Allo stesso modo, restano fuori discussione accordi che riguardino i figli minori: qualsiasi intesa che incide su affidamento, mantenimento o diritti dei figli sarà sempre sottoposta al controllo del giudice e valutata esclusivamente alla luce del preminente interesse del minore. Su questo la Cassazione conferma che non vi può essere spazio per accordi privatistici totalmente sottratti al vaglio giudiziario: mamma e papà possono certamente esprimere accordi sull’affidamento dei figli o sulle spese per i figli, ma tali accordi avranno efficacia solo se ritenuti conformi al miglior interesse della prole dal tribunale, e comunque modificabili in qualsiasi momento se le circostanze lo richiedono.

Quali sono, dunque, i contenuti leciti di un patto prematrimoniale? In generale, sono ammissibili quelle clausole che servono a regolare rapporti patrimoniali tra i coniugi senza violare norme imperative. Il caso deciso nel 2025 ne è un esempio concreto: l’accordo prevedeva un riconoscimento di debito e la cessione di alcuni beni, in pratica una compensazione economica per riequilibrare le rispettive situazioni finanziarie, tenuto conto dei contributi dati da ciascuno durante il matrimonio. Questo tipo di pattuizione è lecito perché punta semplicemente a restituire a un coniuge quanto ha investito nel patrimonio dell’altro, qualora il legame matrimoniale finisca. Analogamente, potrebbero ritenersi validi patti in cui ci si accorda sulla divisione di determinati beni in caso di separazione, oppure sulla restituzione di somme donate dai genitori di uno dei coniugi alla coppia, o ancora sulla sorte della casa coniugale acquistata insieme: tutte intese che mirano a risolvere ex ante potenziali controversie economiche, senza intaccare quei diritti che l’ordinamento tutela come indisponibili. In sostanza, il patto prematrimoniale deve avere un contenuto equilibrato e bilaterale, volto a una equa sistemazione dei rapporti economici: non può consistere in un sacrificio unilaterale sproporzionato di uno a vantaggio dell’altro (circostanza che farebbe dubitare dell’autonomia e libertà di consenso, potenzialmente portando a invalidità per violenza morale o vizio del consenso). Deve essere frutto di una scelta consapevole e libera di entrambi i coniugi, preferibilmente assistiti da avvocati, così da evitare futuri rimpianti o contenziosi sulla validità dell’accordo.

Un altro limite riguarda la forma: sebbene la legge non preveda una forma specifica per questi accordi (trattandosi ora di contratti atipici riconosciuti dalla giurisprudenza), è fortemente consigliabile la forma scritta e, meglio ancora, l’atto pubblico o la scrittura privata autenticata. Questo per due ragioni: garantire certezza e data all’accordo (soprattutto se viene stipulato molto tempo prima dell’eventuale separazione) e rendere evidente che entrambe le parti ne hanno compreso il contenuto (magari con una dichiarazione di aver preso visione dell’art. 160 c.c. e dei limiti di legge). Un atto ricevuto da un notaio o da avvocati in sede di negoziazione assistita potrebbe offrire maggiori garanzie di validità e tenuta in giudizio. Ricordiamo che, non essendoci ancora una disciplina legislativa ad hoc, molto è lasciato al buon senso e alla prudenza: la chiarezza dell’accordo e la sua non equivocità aiuteranno a farlo rispettare poi dai giudici.

Effetti pratici e tutele per i coniugi
La sentenza del 2025 apre scenari nuovi per la gestione delle crisi familiari. I coniugi (o futuri coniugi) oggi possono prendere in considerazione l’idea di stipulare un accordo prematrimoniale per mettersi al riparo da lunghe battaglie legali domani. Pensiamo, ad esempio, a coppie in cui uno dei due possegga un patrimonio significativamente superiore, oppure sia titolare di un’azienda di famiglia: un patto prematrimoniale potrebbe prevedere che, in caso di divorzio, l’altro coniuge ottenga una determinata liquidazione economica ma non rivendichi ulteriori pretese sull’azienda di famiglia. Oppure immaginiamo il caso di secondi matrimoni tra persone mature, ciascuna con figli avuti da precedenti unioni: il patto può stabilire come verranno divisi i beni acquistati insieme, evitando conflitti tra eredi e nuovi coniugi in caso di rottura. Naturalmente, tali accordi vanno calibrati con attenzione e giustizia, per non essere poi tacciati di iniquità. La “svolta” della Cassazione consiste nell’aver riconosciuto che questi accordi meritano tutela in quanto espressione dell’autonomia privata e di una programmazione responsabile delle parti. Si tratta di un cambiamento di mentalità: il diritto non vede più con sospetto due coniugi che, con realismo, affrontano i possibili rischi del domani, ma anzi permette loro di farlo, riconoscendo valore giuridico alle loro intese.

Va sottolineato che questa apertura giurisprudenziale si inserisce in un quadro più ampio di riforme e pronunce volte a modernizzare il diritto di famiglia. Oltre ai patti prematrimoniali, si pensi al riconoscimento di maggiori diritti per i conviventi di fatto: ad esempio, Cass. civ., Sez. Un., ord. n. 11661/2025 ha stabilito che il convivente more uxorio (non sposato) ha diritto ad essere considerato “familiare” nell’ambito dell’impresa familiare ex art. 230-bis c.c., partecipando quindi agli utili e alla liquidazione dell’azienda di famiglia cui collabori. È un segnale di come l’ordinamento si stia adeguando alle nuove realtà sociali, valorizzando le scelte di vita individuali e offrendo strumenti giuridici di tutela anche al di fuori degli schemi tradizionali. Allo stesso modo, il via libera ai patti prematrimoniali conferma che la tendenza attuale è verso un diritto di famiglia più flessibile, in cui la volontà delle parti – purché consapevole e rispettosa dei limiti di legge – può plasmare in anticipo la soluzione di future controversie. Certo, siamo ancora lontani dai tipici prenuptial agreements di stampo anglosassone, dove gli sposi possono liberamente stabilire qualsiasi clausola sul loro futuro divorzio (comprese penali per tradimento, ripartizioni dettagliate di ogni bene, ecc.). In Italia permangono vincoli culturali e normativi che impongono cautela: la famiglia resta circondata da principi inderogabili (basti pensare che l’art. 160 c.c. vieta convenzioni matrimoniali contrastanti con l’ordine pubblico familiare). Tuttavia, la decisione del 2025 rappresenta un compromesso equilibrato tra tradizione e innovazione: si riconosce spazio alla contrattazione preventiva, ma entro paletti ben delineati per evitare abusi o disparità eccessive.

In conclusione, possiamo affermare che ora i patti prematrimoniali sono (finalmente) possibili anche in Italia, sia pure con i limiti visti. Chi desidera stipulare un accordo del genere deve farlo con l’ausilio di un legale esperto in diritto di famiglia, che sappia redigere un testo chiaro, equilibrato e conforme alle prescrizioni della giurisprudenza. La Cassazione ha aperto una strada, ma sarà fondamentale percorrerla con prudenza: ogni caso concreto avrà le sue peculiarità e il giudice valuterà sempre la meritevolezza degli interessi in gioco. Come recita un antico adagio latino, “ubi societas, ibi ius” – dove c’è una società (o una comunità familiare, in questo caso), lì arriva il diritto a regolare i rapporti. La società italiana, più dinamica e complessa rispetto al passato, richiede soluzioni giuridiche nuove: i patti prematrimoniali rispondono proprio a questa esigenza, offrendo ai coniugi uno strumento di autotutela e pianificazione, senza per questo minare l’istituto del matrimonio, ma anzi rafforzando la consapevolezza reciproca sin dall’inizio. In medio stat virtus: nell’equilibrio tra autonomia privata e doveri coniugali sta la chiave per accordi validi e utili.

«Il matrimonio è come un assedio: quelli che sono fuori vorrebbero entrarvi, e quelli che sono dentro vorrebbero uscirne.»Jacques Tati. Questa citazione ironica evidenzia come il vincolo coniugale, se da un lato è ambito, dall’altro possa diventare un’impresa complessa. Ecco perché avere un “piano B” pattuito in tempi di serenità può rivelarsi saggio. I patti prematrimoniali, se ben congegnati, rappresentano proprio questo: un paracadute legale nel malaugurato caso in cui l’unione naufraghi. Naturalmente ci auguriamo che non debbano mai servire – si spera sempre per il meglio, ci si prepara al peggio – ma la loro presenza può offrire sicurezza e ridurre la conflittualità, proteggendo entrambe le parti.

Conclusione – La svolta della Cassazione sui patti prematrimoniali segna un punto di incontro tra la tutela della famiglia e la libertà contrattuale: iura novit curia, ma ora anche i coniugi conoscono meglio i propri diritti e possibilità. È un cambiamento destinato a influenzare prassi e mentalità. Resta da vedere se il legislatore interverrà con una riforma organica sul tema; intanto, chi vuole cautelarsi può finalmente farlo, seguendo però i consigli della giurisprudenza recente. Chiunque stia valutando un accordo prematrimoniale dovrebbe consultare un avvocato per redigere un patto valido e su misura, evitando il fai-da-te che potrebbe portare a clausole invalide.

“Ogni famiglia infelice lo è a modo suo”, scriveva Tolstoj: proprio perché ogni relazione ha dinamiche particolari, il diritto offre oggi uno strumento flessibile per gestire l’eventuale infelicità con minori danni possibili.

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  • 10 novembre 2025
  • Redazione

Autore: Redazione - Staff Studio Legale MP


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