
Immaginate di aver attraversato una grave crisi debitoria, magari risolta con sacrifici o con l’aiuto della legge, e di desiderare un nuovo inizio. Eppure, ogni volta che chiedete un finanziamento, ecco riemergere il passato: una segnalazione negativa nelle banche dati creditizie (CRIF o Centrale Rischi) continua a bloccarvi l’accesso al credito. Vi sentite condannati oltre la fine della pena. “La misericordia non s’impone: cade come pioggia gentile dal cielo, ed è due volte benedetta – benedice chi la concede e chi la riceve.” Questa celebre massima letteraria ci ricorda che offrire una seconda possibilità non giova solo al debitore pentito, ma anche al sistema che lo riaccoglie. Nel 2025, finalmente, questo principio di clemenza e riabilitazione sta trovando spazio nel diritto bancario: chi ha sanato la propria posizione ha diritto a non restare imprigionato a vita dal marchio di cattivo pagatore. In altre parole, dopo il buio della crisi può arrivare una nuova alba finanziaria.
Prima di entrare nel vivo delle novità, vale la pena chiarire di cosa parliamo. CRIF (tramite il sistema EURISC) è il principale Sistema di Informazioni Creditizie privato in Italia: vi confluiscono le segnalazioni su prestiti e mutui, registrando sia ritardi o insolvenze sia – negli ultimi anni – anche i pagamenti regolari. La Centrale dei Rischi di Bankitalia è invece un archivio pubblico in cui gli intermediari segnalano ogni mese esposizioni superiori a determinate soglie e crediti deteriorati. Una segnalazione negativa (ad esempio una “sofferenza” bancaria) in queste banche dati è molto impattante: le altre banche la vedono e difficilmente concederanno nuovi affidamenti finché il nome rimane “segnato”. La reputazione creditizia di una persona, insomma, viene fotografata e può restare offuscata per anni. Ecco perché cancellare una segnalazione ingiusta o obsoleta è fondamentale per tornare ad avere pieno accesso al sistema finanziario. Del resto, venia dignus est humanus error: ogni errore umano merita perdono. Se anche il diritto fallimentare prevede l’esdebitazione (cioè la liberazione dai debiti residui per chi ha collaborato e affrontato la propria crisi con correttezza), analogamente il diritto della privacy creditizia sta riconoscendo che, dopo un certo periodo o a certe condizioni, il passato negativo va lasciato alle spalle.
Le informazioni creditizie negative non restano attive per sempre: esistono già regole che impongono la cancellazione automatica dopo un periodo prestabilito. Il Codice di condotta dei Sistemi di Informazione Creditizia (SIC), definitivamente approvato nel 2022, stabilisce che i ritardi di pagamento poi regolarizzati vengano eliminati dopo 12 o 24 mesi dalla sanatoria (a seconda della gravità e recidiva), mentre le sofferenze e morosità non sanate restino al massimo per 36 mesi dalla chiusura del rapporto o dalla scadenza del credito. Perfino i finanziamenti rifiutati o rinunciati compaiono nei SIC solo per pochi mesi. Questa “data di scadenza” delle segnalazioni garantisce che la memoria creditizia non diventi ergastolo: trascorso un periodo congruo, il debitore meritevole ha diritto a ripartire. Si evitano così pene perpetue, in linea con l’idea per cui dopo aver pagato il conto (o scontato la propria crisi) chi merita deve poter ricominciare da zero. Tali limiti temporali affondano le radici proprio in quel principio di clemenza: la legge e gli accordi tra operatori riconoscono che tenere un ex debitore sulla “lista nera” per troppo tempo sarebbe ingiusto oltre che economicamente inefficiente. Un cattivo pagatore di ieri, redento oggi, può tornare utile all’economia se reintegrato nel circuito creditizio.
Una svolta significativa è arrivata con una pronuncia innovativa del Tribunale di Verona nel 2025. Nell’ambito di una procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore (una delle procedure previste dal nuovo Codice della Crisi e dell’Insolvenza per i soggetti sovraindebitati), il tribunale scaligero ha adottato un provvedimento senza precedenti: al termine del piano di ristrutturazione, oltre a dichiarare il debitore “liberato” dai debiti residui (effetto di esdebitazione), ha disposto la cancellazione delle sue segnalazioni negative presso la Centrale Rischi e i SIC privati come CRIF. In concreto, con decreto di chiusura del 12/03/2025, il giudice veronese (dott. Pierpaolo Lanni) ha ordinato all’Organismo di Composizione della Crisi di comunicare il provvedimento a CRIF e Bankitalia affinché il nominativo dell’interessato fosse rimosso dagli archivi dei cattivi pagatori. Si tratta di un passaggio epocale: viene riconosciuto esplicitamente un sorta di “diritto all’oblio” finanziario a chi conclude positivamente una procedura di risanamento. L’idea di fondo è coerente con la filosofia del legislatore: la procedura di sovraindebitamento serve a dare al debitore onesto ma sfortunato una seconda opportunità, permettendogli di ripartire pulito. Se però il suo nominativo restasse segnato nelle banche dati, quella seconda opportunità resterebbe teorica. Il Tribunale di Verona, col suo decreto, ha voluto assicurare che la “fedina finanziaria” del debitore risanato tornasse immacolata, rimuovendo le pregresse annotazioni negative. Ubi ius, ibi remedium: laddove l’ordinamento concede un beneficio (l’esdebitazione), deve offrire anche gli strumenti pratici perché quel beneficio sia effettivo. In assenza di una norma specifica, il giudice ha creato il precedente, dimostrando sensibilità verso il concetto di riabilitazione creditizia.
Questo approccio apre scenari interessanti. Significa, ad esempio, che tutti coloro che portano a termine con successo un piano del consumatore o altro accordo di composizione potrebbero chiedere al tribunale un provvedimento analogo, così da veder cancellati i propri dati negativi subito, senza attendere i canonici tempi di conservazione. Si passa così dall’automatismo delle tempistiche standard (che comunque restano valide in generale) a una tutela personalizzata, calibrata sul caso concreto: se la persona ha pagato il dovuto o ha adempiuto al piano di legge, non c’è motivo di lasciarla ancora esposta all’infamia creditizia. Questa logica ricorda da vicino il principio per cui, nel diritto penale, una volta espiata la pena il nome del reo non dovrebbe restare per sempre macchiato. Applicato al credito, vuol dire dare piena attuazione al concetto di fresh start previsto dalla legge.
Non tutti i cattivi pagatori, purtroppo, lo sono per colpa propria. A volte si viene segnalati per errore o senza che ne sussistano i presupposti di legge. In altri casi, la segnalazione potrebbe essere corretta al momento in cui è avvenuta ma perdere di legittimità col tempo (si pensi a un debito successivamente annullato o a un accordo transattivo che avrebbe dovuto aggiornare la posizione). Cosa può fare in questi frangenti il segnalato ingiustamente? La risposta è: far valere subito i propri diritti, perché l’ordinamento mette a disposizione rimedi urgenti ed efficaci.
Innanzitutto, il soggetto interessato può presentare un reclamo direttamente alla banca o intermediario che lo ha segnalato, chiedendo la correzione o cancellazione del dato errato. Se ciò non basta, ci si può rivolgere all’Arbitro Bancario Finanziario (ABF) oppure al Garante Privacy, due autorità che spesso ordinano la rettifica delle segnalazioni quando riscontrano violazioni (ad esempio, mancato preavviso al cliente dove previsto, scambio di persona, dati non aggiornati, ecc.). Ma il percorso più incisivo è quello giudiziario: in caso di urgenza conclamata, è possibile ricorrere al tribunale con un’azione d’urgenza ex art. 700 c.p.c., senza aspettare i tempi di una causa ordinaria. Proprio nel 2025 abbiamo esempi virtuosi di tribunali che hanno agito immediatamente per tutelare cittadini e imprese da segnalazioni illegittime.
Emblematico è il caso deciso dal Tribunale di Marsala: con decreto inaudita altera parte (cioè senza neanche sentire preventivamente la banca) del 30/01/2025, il giudice siciliano ha ordinato la cancellazione immediata di una segnalazione in Centrale Rischi ritenuta prima facie irregolare. Successivamente, con ordinanza del 25/02/2025, ha confermato il provvedimento anche dopo il contraddittorio, riconoscendo la fondatezza delle doglianze del ricorrente. In pratica, l’azienda coinvolta si era vista bloccare ingiustamente i fidi a causa di una comunicazione a “sofferenza” che non rispettava i criteri fissati da Banca d’Italia (il debitore non era realmente insolvente in modo grave); il tribunale, valutato il periculum nell’attesa (rischio di fallimento dell’azienda per stretto credit crunch), è intervenuto d’urgenza disponendo la rimozione della segnalazione pregiudizievole. Questa vicenda dimostra che la giustizia, quando c’è in gioco la sopravvivenza economica di una persona o impresa, può e deve muoversi in tempi rapidi. La segnalazione illegittima equivale a un “marchio d’infamia” finanziaria che il giudice può cancellare con un colpo di spugna, restituendo respiro al soggetto segnalato. Errare humanum est, perseverare autem diabolicum: un errore può capitare, ma perseverare nell’errore – ad esempio mantenendo una segnalazione sbagliata dopo essere stati avvisati – è diabolico. E la legge non lo tollera.
Un altro interessante precedente viene dal campo delle nuove procedure di composizione della crisi d’impresa. Nel contesto della composizione negoziata (strumento introdotto nel 2021 per aiutare le aziende in difficoltà a evitare il fallimento), c’è stato chi ha ottenuto misure protettive che includevano il blocco delle segnalazioni negative. È il caso di un’ordinanza del Tribunale di Avezzano (22/04/2025): nell’aderire alla composizione negoziata richiesta da una società, il giudice ha inibito all’istituto di credito di segnalare a Centrale Rischi/CRIF la posizione deteriorata dell’imprenditore, così da non pregiudicare le trattative in corso, e contestualmente ha sospeso l’escussione delle garanzie personali. Pur trattandosi di un provvedimento temporaneo, volto a “congelare” la situazione durante la crisi, esso conferma la tendenza dei tribunali a prevenire il danno reputazionale quando questo rischia di compromettere gli sforzi di risanamento. Anche qui il messaggio è chiaro: la segnalazione non è un atto dovuto e ineluttabile in ogni circostanza, ma va calata nel contesto – se rischia di creare un danno irreparabile senza effettivo beneficio per i creditori (anzi, rischiando di aggravare la crisi), allora può essere sospesa o evitata per ordine del giudice.
Ottenere la cancellazione di un dato negativo è spesso il primo passo per tornare “puliti”. Ma cosa dire dei danni subiti nel frattempo? Un’ingiusta segnalazione può causare enormi pregiudizi: finanziamenti negati, contratti saltati, stress, ansia e lesione dell’onore commerciale. Il nostro ordinamento consente al segnalato di chiedere anche il risarcimento di questi danni, citando in giudizio la banca o finanziaria responsabile. Tuttavia, la giurisprudenza insegna che non si tratta di un risarcimento automatico: occorre provare concretamente il nesso tra segnalazione e danno subito. Le sentenze più recenti offrono un utile confronto su come i tribunali valutano tali casi.
In una pronuncia del 2025, ad esempio, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha riconosciuto che la segnalazione in questione era irregolare (mancava il dovuto preavviso al cliente ed era stata effettuata nonostante il debito fosse in contestazione legale), ma ha comunque rigettato la domanda di risarcimento del segnalato. Il motivo? La carenza di prove specifiche sul pregiudizio patito. In altri termini, il ricorrente non era riuscito a dimostrare che, a causa di quel “bollino nero”, avesse perso opportunità concrete di credito o avesse subìto un danno non patrimoniale quantificabile. Il tribunale, pur censurando la condotta della banca, non ha potuto far altro che dichiarare il fatto illecito ma non risarcibile per mancanza di riscontro sul danno (Trib. S. Maria C.V., Sent. 03/03/2025 n. 712). Meno di un mese dopo, però, lo stesso tribunale campano ha offerto il rovescio della medaglia in un caso analogo: con sentenza del 29/04/2025 n. 1419 (Sez. I Civ.), ha condannato un istituto di credito a pagare un ingente risarcimento – comprensivo di danno morale – a favore di un imprenditore che era stato ingiustamente segnalato “a sofferenza” per un credito in realtà inesistente. In quel frangente la banca aveva segnalato come insoluto un importo che era stato ceduto a terzi e poi annullato, dunque del tutto infondato; la segnalazione aveva fatto crollare la fiducia dei fornitori e bloccato le linee di credito, mettendo in ginocchio l’azienda. Il giudice, accertata la totale illegittimità della segnalazione, non solo ha liquidato il risarcimento dei danni (patrimoniali e non), ma ha addirittura ordinato la pubblicazione della sentenza su quotidiani economici, come forma di riparazione “pubblica” dell’immagine dell’imprenditore. Un provvedimento esemplare che suona come monito: le banche pagano caro gli errori gravi, specialmente quando rovinano la reputazione altrui senza motivo.
Il confronto tra queste due vicende insegna che, per ottenere giustizia piena, il dettaglio probatorio è determinante. Chi intende agire per i danni da segnalazione illegittima deve preparare con cura un dossier: ad esempio raccogliere lettere di rifiuto di finanziamento ricevute dopo la segnalazione, testimonianze di clienti o partner persi, documentazione medica che attesti lo stress psicofisico subito, e così via. Più elementi si portano, più il giudice sarà convinto della reale incidenza negativa di quella macchia creditizia sul percorso di vita del soggetto. In assenza di prove, si rischia di ottenere solo la declaratoria di illegittimità (magari già sufficiente per far cancellare il dato), ma senza alcun ristoro economico. Viceversa, con prove solide, si possono ottenere risarcimenti anche molto elevati – specie nei casi in cui la condotta dell’ente segnalante appaia particolarmente sleale o negligente. La tutela risarcitoria completa così il quadro: non solo la cancellazione dell’informazione negativa, ma anche un indennizzo per il periodo in cui quella informazione ha prodotto effetti deleteri.
Dal panorama che emerge nel 2025, si delinea un sistema più consapevole dell’impatto che una segnalazione negativa ha sulla vita delle persone. C’è meno tolleranza verso gli errori bancari e più prontezza nel porvi rimedio: la giurisprudenza sta confermando che le banche e le finanziarie devono rispondere delle proprie comunicazioni, sia correggendole tempestivamente sia, se del caso, risarcendo chi è stato danneggiato. Parallelamente, si rafforza l’idea che il debitore meritevole di fiducia – quello che ha saldato il dovuto, che ha rispettato un piano di rientro, o che comunque non ha colpe – vada tutelato dal rischio di una “morte civile” creditizia. Dopo la caduta c’è la risalita: il diritto gli mette in mano gli strumenti per cancellare le macchie del passato e ricostruirsi una reputazione.
Per chi si trova ancora intrappolato nel ruolo di cattivo pagatore ma ritiene di aver diritto a un nuovo inizio, il messaggio è chiaro: non rassegnarsi. Conviene muoversi attivamente, facendo valere le proprie ragioni attraverso i canali previsti. In concreto, alcuni consigli pratici: verificare periodicamente la propria posizione creditizia (richiedendo le visure CRIF e Centrale Rischi); se risultano segnalazioni obsolete o errate, inviare subito istanza di cancellazione al gestore della banca dati e segnalazione all’ente finanziario; in caso di risposta insoddisfacente, valutare un ricorso all’ABF o al Garante Privacy, oppure rivolgersi a un legale per impostare un ricorso d’urgenza in tribunale. Inoltre, quando si estingue un debito, chiedere sempre una lettera liberatoria alla banca e assicurarsi che essa provveda ad aggiornare le segnalazioni (anche CRIF permette di inoltrare tale documentazione per accelerare la cancellazione). Prevenire è meglio che curare: ad esempio, se state per accendere un mutuo ed emergete da una passata sofferenza, informate la nuova banca della vostra riabilitazione e fornite prove della cancellazione, così da evitare che la vecchia segnalazione mandi all’aria il nuovo finanziamento all’ultimo momento. In sintesi, oggi più che mai chi si attiva può farcela: le norme e i giudici sono dalla parte di chi ha diritto alla pulizia del proprio nominativo.
Redazione - Staff Studio Legale MP