
Una seconda opportunità concreta per il debitore meritevole
Per lungo tempo, chi non riusciva a pagare i propri debiti restava intrappolato in una condizione senza speranza. Oggi, invece, il principio della “seconda opportunità” – espressione di un approccio più solidale verso il debitore – sta assumendo un ruolo centrale nell’ordinamento italiano. Il favor debitoris ispira sia le riforme normative sia le decisioni dei giudici: se il debitore è meritevole (ossia in difficoltà senza dolo o colpa grave), la legge gli offre strumenti per liberarsi dai debiti e ricominciare. Nemo tenetur ad impossibilia, recita un noto brocardo: nessuno è tenuto a fare l’impossibile. E sicuramente è impossibile per un individuo onesto, ma sovraindebitato, saldare integralmente obbligazioni divenute insostenibili. Ecco perché le procedure da sovraindebitamento mirano a trovare un equilibrio fra la necessità di dare respiro al debitore e quella di tutelare i creditori. Negli ultimi tempi questo equilibrio si è spostato sensibilmente verso una maggiore tutela della seconda chance: nuove norme e pronunce giudiziarie stanno infatti rimuovendo molti ostacoli che un tempo impedivano al debitore oppresso dai debiti di tornare “pulito” e attivo nella società. Del resto, «nemo liberalis, nisi liberatus»: nessuno può tornare ad essere generoso e produttivo, se non è liberato dai propri debiti. Vediamo allora in concreto quali sono le novità più rilevanti emerse di recente.
La nuova via per l’ex imprenditore fallito
Una svolta di grande rilievo riguarda gli ex imprenditori individuali e, più in generale, chi è uscito da una procedura fallimentare con ancora debiti insoluti. Fino a pochi anni fa, un soggetto del genere rischiava di rimanere marchiato a vita dai vecchi insoluti: se la sua azienda era cessata e lui non era “fallibile” (ad esempio perché piccolo imprenditore), non esistevano procedure capaci di cancellare quei debiti residui. Oggi la situazione è cambiata radicalmente. Con l’entrata in vigore del Codice della crisi e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019) anche l’ex imprenditore rientra nel campo del sovraindebitamento: dopo la chiusura dell’attività, viene considerato alla stregua di un normale debitore civile. Ciò significa che può presentare un piano di ristrutturazione dei debiti oppure accedere alla liquidazione controllata del proprio patrimonio, proprio come farebbe un consumatore qualsiasi. In termini semplici: se hai chiuso la tua partita IVA ma ti sono rimasti debiti verso fornitori, banche o Fisco, oggi puoi chiedere al tribunale di aprire una procedura di sovraindebitamento e puntare all’esdebitazione finale (il “colpo di spugna” sui debiti).
Questa apertura è stata confermata dalla giurisprudenza più recente. In particolare, il Tribunale di Verona, sez. II civ., sent. 13 giugno 2025 ha dichiarato ammissibile la liquidazione controllata richiesta da un ex imprenditore individuale che in passato era già stato dichiarato fallito. In quel caso il debitore, dopo la chiusura del fallimento della propria ditta individuale, si era ritrovato ancora gravato da debiti non soddisfatti (perché all’epoca non aveva ottenuto l’esdebitazione prevista dalla legge fallimentare). Ebbene, il giudice veronese gli ha concesso di avviare una nuova procedura di liquidazione nell’ambito del sovraindebitamento, riconoscendo che anche chi ha già affrontato un fallimento senza uscirne “pulito” merita un ulteriore tentativo. La ratio di questa decisione è chiara: la liquidazione controllata può permettere di conseguire quell’esdebitazione che non era stata ottenuta nel fallimento precedente, offrendo al debitore un’ultima opportunità di liberarsi dei vecchi debiti. Si tratta di un cambiamento significativo: un tempo un ex fallito restava per sempre inchiodato ai propri debiti pregressi; ora invece – se ha agito in buona fede – può rialzarsi e tornare economicamente attivo senza il fardello del passato. Va aggiunto che questa chance non è preclusa neppure quando l’attività d’impresa è cessata da molto tempo: ad esempio, il Tribunale di Verona, sent. 22 marzo 2025 ha chiarito che un creditore può legittimamente chiedere l’apertura della liquidazione controllata di un debitore ex imprenditore anche se la sua impresa risulta cancellata da oltre un anno, purché i debiti in questione siano sorti dopo la chiusura dell’attività. In tal modo si evita un’ingiustizia che altrimenti lascerebbe senza tutela chi, a distanza di anni dalla cessazione dell’azienda, si trova esposto a nuove passività personali. In sintesi, oggi l’ordinamento – anche grazie all’interpretazione evolutiva dei tribunali – tende la mano all’ex imprenditore sovraindebitato: se è meritevole, gli concede una via per azzerare i debiti residui e ripartire davvero da zero.
La chiusura della procedura: eliminare le “cicatrici” dell’insolvenza
Oltre a creare nuovi percorsi per arrivare all’esdebitazione, la giurisprudenza recente si è occupata anche di tutelare l’aspetto “reputazionale” del debitore che completa con successo la procedura. È noto, infatti, che l’apertura di una procedura di sovraindebitamento comporta forme di pubblicità legale: ad esempio, la pubblicazione di un avviso sul sito del tribunale o su registri consultabili da terzi, oltre alle segnalazioni nelle banche dati creditizie (come la Centrale Rischi della Banca d’Italia o sistemi privati tipo CRIF). Queste informazioni – se lasciate circolare senza limiti – rischiano di diventare una sorta di cicatrice permanente per il debitore, pregiudicandone la reputazione e l’accesso futuro al credito, anche quando ha ormai pagato il dovuto secondo il piano approvato. Proprio per evitare che la “macchia” dell’insolvenza continui a perseguitare chi ha adempiuto agli accordi, i giudici hanno affermato il diritto del debitore ad una completa riabilitazione finale.
In mancanza di una norma esplicita, i tribunali hanno colmato il vuoto disponendo la cancellazione delle pubblicità e delle segnalazioni al termine della procedura. Ad esempio, il Tribunale di Verona, sez. II civ., sent. 12 marzo 2025 ha stabilito che, dopo l’integrale esecuzione di un piano del consumatore omologato, deve essere emesso un decreto di chiusura che certifichi la conclusione positiva della procedura e allo stesso tempo ordini la rimozione degli effetti della pubblicità. In concreto, il giudice veronese ha disposto che l’Organismo di Composizione della Crisi (OCC) provveda a cancellare dal sito ministeriale e da quello del Tribunale gli avvisi pubblicati (decreto di apertura e sentenza di omologa) e a eliminare i dati personali del debitore dagli atti visibili al pubblico. Inoltre, ha ordinato che lo stesso decreto di chiusura venga comunicato alla Centrale dei Rischi e ai sistemi di informazione creditizia privati, dove il sovraindebitato risultava segnalato come cattivo pagatore, affinché anche lì venga aggiornata la sua posizione. Si tratta di un provvedimento di grande importanza pratica: in questo modo, chi ha rispettato fino in fondo il piano di sovraindebitamento può davvero voltare pagina, vedendo cancellati sia i debiti residui sia le informazioni negative collegate alla procedura. La “riabilitazione” del debitore non è più solo economica, ma anche sociale: chi è uscito dal tunnel dei debiti ha diritto a non portarsi dietro, per il futuro, lo stigma dell’insolvenza. Questo approccio dà pieno significato al concetto di fresh start, ossia di nuovo inizio: la procedura di sovraindebitamento non serve solo a pagare il possibile e cancellare il resto, ma anche a permettere al debitore di ripresentarsi nel mondo creditizio con una reputazione pulita, come qualsiasi cittadino affidabile.
Garantire un “fresh start” completo: il problema dei creditori assenti
Non tutti gli ostacoli, tuttavia, sono stati già superati. Una questione emersa di recente riguarda i casi in cui qualche creditore rimane estraneo alla procedura di sovraindebitamento – ad esempio perché, pur informato, non si è attivato né ha “insinuato” il proprio credito entro i termini. La domanda cruciale è: se il debitore paga integralmente i crediti di chi ha partecipato alla procedura, può comunque ottenere l’esdebitazione anche verso i creditori che sono rimasti fuori? Oppure questi ultimi conservano il diritto di farsi pagare perché non hanno mai accettato riduzioni o stralci? La normativa attuale (art. 278, comma 2, Cod. crisi) prevede che l’esdebitazione non opera nei confronti dei creditori non partecipanti limitatamente alla quota che avrebbero avuto diritto di ricevere se si fossero insinuati. In altre parole, il debitore resta obbligato verso i creditori assenti fino a concorrenza della percentuale di soddisfazione riconosciuta ai creditori concorrenti di pari grado. Questo meccanismo, pensato per tutelare chi è rimasto fuori, può però generare effetti paradossali. Si consideri il caso in cui la procedura abbia pagato il 100% ai creditori insinuati (ipotesi non frequente ma possibile, ad esempio, se c’è un attivo capiente): in tal caso, un creditore rimasto assente avrebbe diritto all’intero suo credito residuo, vanificando di fatto l’esdebitazione. Il risultato sarebbe che il debitore, pur avendo soddisfatto tutti quelli che hanno partecipato, resta indebitato proprio verso chi ha scelto di non partecipare. Una situazione del genere solleva dubbi di legittimità costituzionale, poiché il venir meno dell’esdebitazione dipenderebbe non da un comportamento scorretto del debitore, ma da una scelta (forse strategica) di alcuni creditori.
Ed è proprio ciò che è accaduto in un caso deciso a Verona. Nel corso di una liquidazione controllata in cui tutti i creditori insinuati erano stati pagati integralmente, alcuni creditori (compresa una banca ipotecaria degradata a chirografo) non si erano insinuati nonostante fossero stati messi a conoscenza dell’apertura della procedura e del piano di riparto. Trovandosi un attivo residuo dopo aver soddisfatto tutti i presenti, il liquidatore ha chiesto l’esdebitazione del debitore. Tuttavia, applicando alla lettera l’art. 278 co. 2 CCII, l’esdebitazione avrebbe dovuto operare solo per la parte di debito eccedente la percentuale distribuita agli altri creditori di pari grado: dato che questi avevano avuto il 100%, per il debitore non ci sarebbe stata di fatto alcuna liberazione nei confronti dei creditori assenti (sarebbe rimasto debitore dell’intero importo verso di loro). Ritenendo irragionevole questa conseguenza, il Tribunale di Verona, sent. 18 luglio 2025 ha sollevato questione di legittimità costituzionale della norma. Secondo il giudice veronese, negare del tutto l’esdebitazione in simili circostanze contrasta con l’art. 3 della Costituzione (principio di uguaglianza) e con i principi della normativa europea sul “second chance” (direttiva UE 2019/1023). Il debitore in questione aveva fatto tutto il possibile e non aveva colpe; ritrovarsi nuovamente esposto verso alcuni creditori solo perché questi hanno preferito non partecipare al concorso appare un esito ingiusto e irragionevole. Inoltre, consentire ai creditori assenti di recuperare integralmente il loro credito, quando quelli presenti sono stati soddisfatti magari in parte, potrebbe incentivare comportamenti opportunistici (il creditore potrebbe scegliere di non insinuarsi sperando di incassare di più in seguito). La Corte Costituzionale dovrà ora valutare la questione. Se la norma verrà modificata o “corretta”, si eliminerà quello che al momento rappresenta uno degli ultimi ostacoli a un fresh start pieno per il debitore sovraindebitato: l’obiettivo è far sì che, una volta conclusa la procedura, tutti i debiti pregressi – verso chiunque – possano dirsi definitivamente cancellati.
La seconda chance ha dei limiti: meritevolezza e buona fede
Fin qui abbiamo evidenziato come l’ordinamento stia ampliando le possibilità di liberazione del debitore onesto. È importante però sottolineare che la seconda chance non è un “liberi tutti”: resta fermo il principio per cui solo il debitore meritevole ne può beneficiare. La legge non protegge chi ha colpe gravi o ha agito in malafede. Su questo punto è intervenuta anche la Corte di Cassazione, tracciando con chiarezza il confine etico-giuridico entro cui ci si può muovere. In particolare, la Cass. civ., Sez. I, sent. n. 21048/2025 ha affrontato il caso di una banca che aveva erogato un prestito in modo imprudente, contribuendo ad aggravare il sovraindebitamento del cliente. Si potrebbe pensare che una simile negligenza del finanziatore “scusi” in qualche modo il debitore dalle proprie responsabilità. La Suprema Corte ha invece precisato che così non è: la trascuratezza della banca nel valutare il merito creditizio del cliente non esclude né attenua l’eventuale colpa grave del debitore. In altre parole, se un consumatore ha contratto debiti oltre ogni ragionevole capacità di rimborso, contando magari sulla leggerezza degli istituti di credito, non potrà invocare l’azzardo della banca come giustificazione per ottenere l’accesso alla procedura di sovraindebitamento. Il giudice dovrà valutare autonomamente la condotta del debitore: se emerge che egli ha aggravato la propria esposizione con imprudenza, malafede o frode, la domanda di ammissione verrà respinta, anche se la banca è stata imprudente nel concedere il prestito. Dunque, la meritevolezza rimane una condizione imprescindibile: la seconda opportunità è accordata a chi ha agito sì con leggerezza magari, ma senza malizia grave e soprattutto senza voler ingannare i creditori. Chi ha provocato deliberatamente il proprio dissesto o ha assunto obbligazioni in modo irresponsabile non potrà trovare riparo nelle procedure di sovraindebitamento. Questo rigore è necessario per evitare abusi e preservare l’equilibrio del sistema: clemenza verso il debitore onesto, ma tolleranza zero verso comportamenti scorretti. Come ammoniva Tito Livio, «abolire il dovere di pagare i debiti mina alla base le regole della convivenza umana». La liberazione dai debiti è giusta solo se circoscritta a chi ne ha veramente bisogno e la merita: diversamente, diverrebbe un incentivo all’azzardo morale, con conseguenze negative per l’intero mercato del credito.
Conclusione
Dal panorama che emerge, il quadro è quello di una disciplina del sovraindebitamento sempre più matura e bilanciata. Da un lato, si moltiplicano le tutele e le opportunità per il debitore sovraindebitato meritevole – basti pensare alla possibilità di salvare la prima casa, alle procedure familiari congiunte, all’esdebitazione concessa persino all’ex fallito e alla cancellazione delle segnalazioni negative dopo la procedura. Dall’altro lato, permane ferma la necessità di rispettare le regole e i diritti altrui lungo tutto il percorso: chi chiede aiuto al sistema deve presentarsi con trasparenza, correttezza e reale volontà di rimettersi in carreggiata. Se queste condizioni sono soddisfatte, oggi un sovraindebitato può davvero sperare di uscire dal proprio inferno finanziario e riprendere una vita normale. Come scrive Dante al termine del Purgatorio, il debitore che ha affrontato con impegno il suo percorso di risanamento può finalmente dirsi «puro e disposto a salire a le stelle». L’immagine poetica ben rappresenta la situazione di chi, dopo anni di angoscia tra debiti e sacrifici, riesce a rivedere la luce di un futuro senza pendenze. Certo, la strada per arrivare a questo traguardo non è semplice né priva di insidie: è un cammino che richiede competenza tecnica, pazienza e determinazione. Ma con gli strumenti giuridici odierni e l’assistenza adeguata, la meta della riabilitazione finanziaria è diventata una possibilità concreta.
Redazione - Staff Studio Legale MP