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Immigrazione: nuove tutele per famiglia e integrazione - Studio Legale MP - Verona

Le recenti sentenze rafforzano la protezione dell’unità familiare degli stranieri e favoriscono l’integrazione dei soggetti più vulnerabili nel tessuto sociale

 

Famiglia e permesso di soggiorno: niente convivenza obbligatoria

"Siamo sempre lo straniero di qualcun altro. Imparare a vivere insieme è lottare contro il razzismo." – Tahar Ben Jelloun

L’unità familiare è un diritto fondamentale riconosciuto anche agli stranieri: chi sposa un cittadino italiano ha diritto al permesso di soggiorno per motivi familiari, indipendentemente da requisiti formali come la convivenza o il precedente possesso di un visto. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione con un recente provvedimento che fa scuola. In Cass. civ., Sez. I, ord. n. 9437/2025, i giudici supremi hanno affermato che il rilascio del permesso di soggiorno al coniuge extracomunitario di un cittadino italiano (disciplina attuata dal D.Lgs. 30/2007, di derivazione europea) non richiede né la convivenza effettiva tra i coniugi né che lo straniero sia già regolarmente soggiornante in Italia. Ciò che conta è la realtà del vincolo matrimoniale, a meno che non vi sia prova concreta che si tratti di un matrimonio di convenienza. Il legislatore stesso, all’art. 30 comma 1-bis del Testo Unico Immigrazione, impone di negare il permesso solo se il matrimonio risulti simulato a fini fraudolenti – evenienza da valutare seguendo le linee guida UE che individuano gli indizi di nozze fittizie. Dunque “pacta sunt servanda” anche in questo ambito: se due persone sono sposate, lo Stato deve rispettare il patto coniugale riconoscendo il diritto a vivere insieme in Italia. La Cassazione, con l’ordinanza citata, ha così tutelato il diritto alla vita familiare dello straniero, impedendo alle autorità di rifiutare il permesso al coniuge di un cittadino italiano in assenza di elementi che facciano dubitare della genuinità del matrimonio. Si tratta di un importante richiamo al principio per cui le esigenze di controllo dell’immigrazione non possono sacrificare ingiustamente gli affetti e la dignità delle persone: la famiglia, per la legge italiana, è un valore preminente da salvaguardare, a prescindere dalla nazionalità.

Protezione speciale: la vita privata del cittadino straniero prima di tutto

Negli ultimi anni il legislatore ha più volte modificato le norme sugli status di protezione per gli stranieri, cercando di restringere le maglie della tutela. In particolare, con il Decreto-Legge 20/2023 (noto come Decreto Cutro), è stato eliminato dal Testo Unico Immigrazione il riferimento esplicito al diritto al rispetto della vita privata e familiare tra i presupposti della cosiddetta protezione speciale. Questo permesso, introdotto nel 2020 in sostituzione della precedente “umanitaria”, tutelava proprio gli stranieri la cui espulsione avrebbe comportato una violazione grave dei loro legami familiari o della loro integrazione sociale in Italia (richiamando l’art. 8 CEDU). Dopo la riforma del 2023, molti temevano che tali situazioni non fossero più coperte da alcuna tutela. Eppure la giurisprudenza ha reagito prontamente: Cass. civ., Sez. I, sent. n. 29593/2025 ha confermato che la protezione speciale continua ad esistere e a vincolare le autorità, nonostante la modifica legislativa. La Corte ha sottolineato che, sebbene siano stati soppressi alcuni commi, resta invariato l’art. 5 comma 6 del Testo Unico, il quale vieta di rifiutare o revocare un permesso di soggiorno quando ricorrono seri motivi umanitari o obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano. Proprio attraverso questo richiamo “onnicomprensivo”, il diritto al rispetto della vita privata e familiare dell’individuo continua ad operare come limite all’espulsione. In altre parole, il legislatore non può cancellare con legge ordinaria principi fondamentali protetti dalla Costituzione e dalle Convenzioni internazionali: tra questi, il diritto dello straniero a non essere allontanato se in Italia ha legami e un radicamento tali che la sua espulsione risulterebbe disumana o sproporzionata. La Cassazione, con la sentenza del novembre 2025, ha dunque ribadito che “ad impossibilia nemo tenetur”: non si può pretendere l’allontanamento di una persona quando ciò la costringerebbe a rinunciare a una vita privata e familiare costruita legittimamente in Italia. La protezione complementare (oggi speciale) deve continuare a garantire questi casi, a dispetto del tentativo normativo di ridurne la portata. Questa pronuncia rappresenta un forte segnale di equilibrio: le esigenze di sicurezza e controllo non possono mai tradursi in cecità verso i diritti umani. Ogni provvedimento di espulsione deve passare al vaglio della proporzionalità e dell’umanità, valori cardine dell’ordinamento giuridico italiano ed europeo.

Cittadinanza italiana e disabilità: eliminato l’ostacolo del test di lingua

Se la Cassazione ha difeso il diritto a formarsi una famiglia e a non essere sradicati da essa, un’altra evoluzione fondamentale ha riguardato il diritto all’integrazione piena, fino all’ottenimento della cittadinanza italiana. Diventare cittadini italiani richiede, tra gli altri requisiti, una conoscenza della lingua italiana almeno di livello B1, da dimostrare con un esame o un attestato riconosciuto. Questa regola, introdotta nel 2018 per concessione della cittadinanza per residenza o matrimonio, mirava a garantire che chi diventa italiano sia in grado di integrarsi nella comunità linguistica. Ma cosa accade se una persona è impossibilitata ad imparare l’italiano perché affetta da gravi disabilità? Imporre comunque l’esame in tali casi significa precludere ingiustamente la cittadinanza a chi, magari dopo anni di vita in Italia, avrebbe diritto a farne parte a tutti gli effetti ma non può superare l’ostacolo linguistico per cause di forza maggiore. Su impulso dei giudici amministrativi, è intervenuta la Corte Costituzionale per scongiurare questa palese ingiustizia. Con la Corte Cost., sent. n. 25/2025, è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 9, comma 1, della legge n. 91/1992 (come modificato nel 2018) nella parte in cui non esenta dall’obbligo della certificazione linguistica gli aspiranti cittadini affetti da disabilità che impediscono di raggiungere il livello B1. La Consulta ha motivato che si tratta di una condizione irragionevole e discriminatoria: richiedere un requisito impossibile a chi per ragioni di salute non può adempiervi viola il principio di uguaglianza e quello per cui «ad impossibilia nemo tenetur». In base alla sentenza, il legislatore dovrà introdurre un’esenzione ad hoc (sul modello già previsto per il permesso UE di lungo periodo) così da non escludere dal “sogno” della cittadinanza le persone più fragili. Questa pronuncia segna un passo di civiltà: la cittadinanza non può essere negata a chi ha dimostrato di appartenere alla comunità nazionale solo per una prova formale insuperabile a causa di handicap. L’integrazione non si misura solo con un test, soprattutto quando vi sono impedimenti oggettivi: conta la partecipazione effettiva alla vita del Paese. Grazie alla decisione della Corte Costituzionale, l’ordinamento diventa più inclusivo, riconoscendo che la dignità della persona con disabilità deve prevalere su rigidi automatismi burocratici. D’ora in avanti, gli stranieri disabili potranno ottenere la cittadinanza italiana senza barriere, come è giusto che sia in uno Stato di diritto che non lascia indietro nessuno.

Conclusioni: una tutela rafforzata dei diritti degli immigrati

Le vicende esaminate confermano un trend importante: la giurisprudenza italiana del 2025 ha rafforzato le garanzie per gli stranieri, bilanciando le istanze di rigore con i principi di umanità e ragionevolezza. Che si tratti del diritto alla vita familiare di una coppia italo-straniera, della protezione dall’espulsione per chi ha radicato la propria esistenza nel nostro Paese o dell’accesso alla cittadinanza per persone con disabilità, il messaggio è univoco. I giudici, sia di legittimità sia costituzionali, stanno tracciando un percorso di apertura e di tutela dei diritti fondamentali, ricordando al legislatore e alle amministrazioni che la persona deve restare al centro. Per gli immigrati e le loro famiglie ciò si traduce in nuove opportunità: permessi di soggiorno concessi con maggiore equità, rischio di espulsioni arbitrarie ridotto e iter di cittadinanza più inclusivi. Ovviamente ogni caso concreto farà storia a sé, ma queste sentenze di principio offrono punti fermi a cui appellarsi. Chi dovesse trovarsi in una situazione simile – ad esempio coniuge straniero cui venga negato il permesso, oppure titolare di protezione speciale a rischio revoca, o ancora familiare di persona disabile che aspira alla cittadinanza – può far valere queste pronunce a suo favore. In un contesto normativo in continua evoluzione, la voce della giurisprudenza serve da guida e da correttivo, assicurando che l’applicazione del diritto resti ancorata ai valori costituzionali. Ius est ars boni et aequi – il diritto è l’arte del buono e dell’equo – e queste decisioni ne sono una plastica dimostrazione.

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  • 18 dicembre 2025
  • Redazione

Autore: Redazione - Staff Studio Legale MP


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