
Nel mondo dei debiti, spesso ci si può trovare incastrati non per colpe proprie ma per obbligazioni altrui. È il caso di chi:
Accetta un’eredità gravata da passività (debiti del defunto che ricadono sull’erede);
Presta garanzia per debiti altrui, ad esempio firmando una fideiussione bancaria per un familiare o consentendo un’ipoteca su un proprio bene a garanzia di un finanziamento di terzi.
In situazioni del genere, il risultato è che una persona diventa debitrice “di riflesso”, caricandosi di passività generate da altri. Fino a qualche anno fa, queste circostanze lasciavano poche vie d’uscita: l’erede doveva pagare i debiti del parente defunto (salvo rinunciare all’eredità) e il fideiussore rischiava di dover onorare integralmente il debito altrui. Oggi, grazie al Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII) e alla giurisprudenza recente, esistono strumenti di sovraindebitamento per risolvere anche questi casi. Vediamo quali sono le soluzioni offerte e i limiti previsti, ricordando sempre il principio latino: “Fraus omnia corrumpit” – la frode corrompe ogni cosa. In altre parole, i benefici delle procedure sono riservati a chi agisce con lealtà e trasparenza, mentre chi tenta scorciatoie in malafede si vedrà negato l’aiuto.
Affrontare i debiti di un familiare defunto è una situazione delicata. L’ordinamento, in realtà, offre da sempre una tutela fondamentale: nessuno è obbligato ad accettare un’eredità sgradita. In base al codice civile, l’erede può scegliere di:
Rinunciare all’eredità, evitando così qualunque responsabilità per i debiti del defunto;
Accettare l’eredità con il beneficio d’inventario, che limita la responsabilità dell’erede al valore dei beni ereditati (in pratica, i debiti del defunto saranno pagati solo entro il limite dell’attivo ereditario, senza intaccare il patrimonio personale dell’erede).
Grazie al beneficio d’inventario, l’erede evita di dover pagare di tasca propria l’eventuale eccedenza di debiti rispetto ai beni ereditati: è come creare un “muro” tra il patrimonio del defunto e quello personale di chi eredita. Proprio per questo, la legge considera un erede beneficiato non realmente sovraindebitato per i debiti del de cuius: la sua situazione economica personale non è compromessa dai debiti ereditari oltre il limite dell’eredità stessa. Coerentemente, la Corte di Cassazione ha stabilito che l’erede che ha accettato con beneficio d’inventario non può accedere alle procedure di sovraindebitamento per quei debiti. Tali passività, infatti, non lo rendono insolvente in senso proprio, poiché egli non è tenuto a pagarle con il proprio patrimonio (Cass. civ., Sez. I, ord. n. 30412/2025). In breve, se hai scelto il beneficio d’inventario, non avrai bisogno di un piano di sovraindebitamento: i debiti del defunto saranno liquidati nei limiti dell’eredità e l’eventuale eccedenza resterà insoddisfatta ma senza toccarti personalmente.
Discorso diverso, invece, per chi accetta l’eredità pura e semplice, ritrovandosi quindi debitore in prima persona di tutti i debiti del defunto. Immaginiamo chi, magari per affetto verso il genitore scomparso o per salvare i beni di famiglia, decida di accettare l’eredità nonostante passività molto superiori all’attivo: questa scelta lo espone completamente. L’erede diventa debitore di tutto, anche oltre il valore dei beni ricevuti. Se la situazione debitoria risulta insostenibile (ad esempio il defunto aveva grossi debiti con banche, Fisco, ecc. e l’erede non ha risorse per farvi fronte), allora sì che l’erede stesso può definirsi “sovraindebitato”. In tal caso può attivare le procedure previste dal CCII come qualsiasi altro debitore civile: il Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (se rientra tra i debitori non fallibili) o la Liquidazione controllata del patrimonio. L’erede, di fatto, viene trattato alla pari di un debitore che abbia contratto direttamente quelle obbligazioni.
È importante sottolineare che l’accesso dell’erede “semplice” al sovraindebitamento non è automatico: dovrà dimostrare la propria meritevolezza, ovvero di non aver colpe gravi o frodi legate alla situazione debitoria. Ma ereditare debiti, di per sé, non è certo una colpa: anzi, il più delle volte è un atto di responsabilità o necessità familiare. I giudici, infatti, tendono a considerare con favore l’erede sovraindebitato in buona fede. Ciò che conta è che si comporti con la massima trasparenza nell’affrontare la procedura, dichiarando tutti i beni ereditati, i debiti noti e le circostanze rilevanti. In tal modo potrà ottenere l’omologazione di un piano o l’apertura della liquidazione e, al termine, la cancellazione dei debiti residui (esdebitazione), uscendo finalmente dall’incubo.
Un caso molto comune di sovraindebitamento “derivato” riguarda chi ha garantito debiti altrui. Pensiamo al genitore che firma da fideiussore per il mutuo del figlio, all’imprenditore che garantisce con il proprio patrimonio un prestito della società, o al familiare che concede un’ipoteca sulla sua casa per far ottenere credito a un parente. Se tutto va bene, la garanzia resta sulla carta; ma se il debitore principale non paga, il garante viene escusso e deve pagare lui. Ci si ritrova così, da un giorno all’altro, con un debito enorme da saldare, magari senza avere le risorse. Come inquadrano la legge e i giudici questa figura di debitore di riflesso?
La questione principale è: il fideiussore rientra tra i debitori “consumatori” (persone fisiche che hanno contratto debiti per scopi estranei ad attività d’impresa), oppure no? La risposta è importante perché determina la procedura utilizzabile: se il garante può essere qualificato come consumatore, potrà accedere al più favorevole Piano di ristrutturazione del consumatore; altrimenti, dovrà eventualmente ripiegare su un concordato minore o su una liquidazione controllata. Ebbene, la Corte di Cassazione ha chiarito proprio nel 2025 questo aspetto, con un orientamento che agevola i garanti onesti: il fideiussore persona fisica può essere considerato un consumatore se la garanzia prestata non è collegata alla sua attività professionale o imprenditoriale (Cass. civ., Sez. I, ord. n. 29746/2025). In pratica, anche se il garante svolge un’attività d’impresa (o è socio di società), nel momento in cui firma una fideiussione a titolo personale – ad esempio per aiutare un familiare o per esigenze finanziarie di una società altrui – quel debito non viene considerato inerente alla sua eventuale attività imprenditoriale. Dunque il garante in questione può accedere alle procedure di sovraindebitamento come consumatore.
Un ulteriore supporto a questa interpretazione “pro-debitore” è venuto da una pronuncia di merito molto recente: la Corte d’Appello ha ammesso che anche il “terzo datore di ipoteca” – cioè colui che concede un’ipoteca su un proprio immobile a garanzia di un debito altrui – può accedere alla ristrutturazione dei debiti come consumatore, a patto che la vicenda sia estranea ad un’attività d’impresa personale (App. Ancona, 04/11/2025). Pensiamo ad esempio a una madre che ipoteca la casa di famiglia per garantire un finanziamento contratto dal figlio: se poi la banca si rivale su di lei, la madre è a tutti gli effetti una consumatrice sovraindebitata (i debiti sono legati a bisogni altrui, non a una sua attività economica). Potrà quindi presentare un Piano del consumatore per ristrutturare quel debito, beneficiando delle tutele riservate ai debitori civili non fallibili.
Questo approccio giurisprudenziale riconosce che chi si è indebitato “per causa altrui” merita le stesse opportunità di chi si è indebitato per necessità proprie. Importante: anche in tali casi, naturalmente, resta ferma la verifica della meritevolezza. Il garante dovrà provare di aver agito senza intenzione di frodare i creditori e senza grossolana imprudenza. Fornire garanzie per aiutare un familiare o mantenere a galla un’azienda di cui magari non si è neppure titolari, di per sé, non costituisce colpa grave: anzi, spesso è un gesto di altruismo o di disperazione, non di leggerezza. La meritevolezza dunque viene normalmente riconosciuta, salvo emergano condotte davvero scorrette (ad esempio, aver contraffatto documenti per ottenere il prestito, o aver occultato al creditore informazioni rilevanti: casi in cui il garante perderebbe ogni tutela).
Le novità normative hanno ampliato la platea di chi può accedere al sovraindebitamento, ma ciò non significa che “tutto è permesso”. Ogni situazione deve imboccare la procedura giusta: spetta al professionista OCC (Organismo di Composizione della Crisi) e al giudice inquadrare correttamente il caso. Ad esempio, un ex imprenditore con debiti residui da fallimento non può “mascherarsi” da consumatore se quei debiti derivano dall’attività aziendale. Lo ha ricordato anche il Tribunale di Terni, negando l’ammissione al piano del consumatore a un ex socio che aveva cercato di qualificarsi come debitore civile pur avendo debiti generati dall’attività d’impresa (Trib. Terni, sent. 30/10/2025). In casi del genere, chi ha debiti professionali dovrà orientarsi verso il concordato minore o la liquidazione controllata, a seconda dei requisiti, e non potrà approfittare indebitamente delle corsie riservate ai consumatori. Allo stesso modo, chi abbia già beneficiato in passato di procedure concorsuali o esdebitazioni fallimentari dovrà rispettare eventuali limitazioni di legge per le nuove richieste di esdebitazione.
Questa linea rigorosa (“summum ius, summa iniuria”, potremmo dire: applicare la legge senza equità può portare a risultati ingiusti, ma anche l’eccessiva indulgenza può tradire lo spirito delle norme) serve a mantenere un equilibrio: aiutare chi è sinceramente in difficoltà, ma non avallare furberie o abusi. In fondo, l’idea di fondo della disciplina sul sovraindebitamento è etica prima ancora che giuridica: offrire una via d’uscita a chi è oppresso dai debiti senza colpa grave, concedendo una “seconda opportunità” a chi è stato sfortunato o imprudente entro i limiti scusabili. Viceversa, chi ha tratto in inganno i creditori, chi ha sperperato risorse in spregio ai propri obblighi, non può aspettarsi che la legge gli spalanchi le porte del beneficio.
Sia per gli eredi indebitati, sia per i garanti escussi, il denominatore comune per ottenere sollievo è dimostrare integrità e collaborazione durante tutta la procedura. La meritevolezza del debitore è il fulcro attorno a cui ruota l’accesso e la chiusura positiva del sovraindebitamento. Cosa significa in concreto? Principalmente, due cose: assenza di comportamenti dolosi o gravemente colposi all’origine e nel corso dell’indebitamento, e piena trasparenza informativa verso i creditori e gli organi della procedura.
Nel 2025 la Cassazione e i tribunali hanno più volte ribadito che qualche veniale imprudenza del passato non basta a escludere il debitore, purché egli metta tutte le carte sul tavolo e operi in modo da massimizzare la soddisfazione dei creditori nelle nuove circostanze. Ad esempio, è stato affermato che eventuali ombre nella condotta del debitore vanno valutate soprattutto alla fine – al momento di concedere l’esdebitazione – e non per negare aprioristicamente l’accesso alla procedura. In altre parole, anche chi ha commesso errori iniziali può essere ammesso al piano, se dimostra di volerli correggere e di agire lealmente, mentre resteranno fuori solo i comportamenti davvero fraudolenti o malevoli.
Un capitolo significativo riguarda la trasparenza documentale: presentare un ricorso completo di tutte le informazioni richieste e veritiere. Su questo punto, la Corte di Cassazione ha ammonito che il giudice deve effettuare un controllo sostanziale sulla documentazione e sulla relazione dell’OCC, proprio per garantire che la fotografia della situazione economica del debitore sia fedele al reale. Ad esempio, omettere di dichiarare una recente vendita di un immobile o la propria partecipazione in un’attività professionale costituisce un grave vulnus alla fiducia nella procedura: se scoperta, un’omissione del genere può portare alla revoca dell’ammissione al sovraindebitamento o dell’omologazione ottenuta. Il messaggio è chiaro: chi chiede aiuto deve giocare a carte scoperte. In cambio, la legge offre la possibilità – una volta soddisfatti i creditori nei limiti del possibile – di cancellare tutti i debiti residui e ripartire pulito. “Dum spiro, spero” dice un famoso motto latino: finché respiro, spero. Finché c’è trasparenza e buona fede, c’è speranza di uscire anche dalle crisi debitorie più profonde.
Le procedure di sovraindebitamento oggi costituiscono un vero salvagente non solo per chi ha accumulato debiti propri, ma anche per chi si trova a dover rispondere di debiti altrui. Che si tratti di un’eredità piena di passività o di una fideiussione che si è attivata, il nostro ordinamento – con il supporto illuminato della giurisprudenza recente – offre strumenti efficaci per evitare che una persona onesta sia condannata a una vita da indebitato senza scampo. L’importante è muoversi con consapevolezza e affidarsi a professionisti competenti, in grado di individuare la strategia migliore: dall’eventuale scelta iniziale di rinunciare all’eredità o accettarla col beneficio, fino alla predisposizione di un piano del consumatore su misura o alla richiesta di una liquidazione controllata. Ogni storia ha le sue peculiarità, ma l’obiettivo comune è dare respiro al debitore meritevole e, con l’accordo o sotto il controllo del Tribunale, azzerare i debiti residui.
In definitiva, se ti trovi a portare un fardello di debiti non tuoi – perché hai voluto salvare un familiare, perché hai creduto in un progetto altrui o semplicemente per circostanze sfortunate – sappi che una via d’uscita esiste. Come diceva un noto autore, “Neither a borrower nor a lender be” (non fare né il mutuatario né il garante); ma se ormai il danno è fatto, le soluzioni legali per uscirne ci sono. L’importante è agire presto e bene, sfruttando le tutele previste a tuo favore.
Redazione - Staff Studio Legale MP