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Debiti di famiglia: come gestire eredità onerose e garanzie tra parenti - Studio Legale MP - Verona

Proteggere gli eredi dai debiti e aiutare i familiari senza rischiare: soluzioni legali tra rinuncia all’eredità e procedure di sovraindebitamento

 

Quando i debiti si trasmettono in eredità

Mors omnia solvit, dicevano i latini – la morte dissolve ogni vincolo – ma non sempre “cancella” i debiti. Alla scomparsa di una persona indebitata, infatti, i suoi obblighi possono ricadere sui successori. Gli eredi, però, non sono condannati ineluttabilmente a pagare: il nostro ordinamento predispone strumenti per evitare che i debiti ereditari rovinino la famiglia del defunto. La scelta cruciale è tra accettare l’eredità oppure no. Se i debiti superano i beni lasciati, i chiamati all’eredità possono rinunciare, evitando completamente sia i crediti sia le passività. In alternativa, possono accettare l’eredità con beneficio d’inventario: questo meccanismo limita la responsabilità per i debiti ereditari al valore dei beni ereditati, separando il patrimonio del defunto da quello personale dell’erede. In tal modo, i creditori del defunto saranno pagati solo entro i limiti dell’attivo ereditario, senza intaccare i beni personali di chi eredita. Si tratta di una tutela fondamentale, soprattutto quando si ereditano immobili di famiglia gravati da mutui o prestiti: l’erede potrà valutare, attraverso l’inventario, se i beni coprono i debiti e decidere consapevolmente il da farsi.

È importante chiarire che le procedure di sovraindebitamento non possono essere attivate per saldare i debiti di una persona deceduta. Queste procedure (come la ristrutturazione dei debiti del consumatore o la liquidazione controllata) sono pensate per dare sollievo a un debitore vivente, valutandone la condotta e la situazione economica personale. Se il debitore viene a mancare, non c’è modo per i suoi eredi di “subentrare” in un piano di sovraindebitamento al posto del defunto. Su questo punto la Corte di Cassazione è intervenuta di recente a fare chiarezza: un erede che abbia accettato con beneficio d’inventario non è legittimato a proporre una domanda di piano del consumatore in luogo del debitore defunto (Cass. civ., Sez. I, ord. n. 30412/2025). In pratica, se un familiare non ha fatto in tempo ad attivare una procedura di esdebitazione prima di morire, i suoi debiti potranno essere gestiti solo secondo le regole ordinarie dell’eredità (beneficio d’inventario, eventuale liquidazione del patrimonio ereditario), ma non attraverso un “fresh start” postumo. D’altronde, le procedure concorsuali minori prevedono un giudizio sulla meritevolezza del debitore – concetto che perde senso dopo la morte, quando non è più possibile valutare la collaborazione o il comportamento del soggetto. Allo stesso modo, se una persona muore durante una procedura di sovraindebitamento già avviata, questa normalmente si interrompe: si dovrà far luogo alle regole della successione e i creditori potranno rivalersi sull’eredità secondo le norme civilistiche. In sintesi, chi subentra a un parente nelle sue vicende debitorie deve utilizzare gli strumenti successori classici. L’accettazione beneficiata consente spesso di evitare il peggio, obbligando comunque i creditori a farsi avanti entro i limiti temporali di legge: trascorsi i termini per presentare le domande al patrimonio ereditario, l’erede beneficiato potrà anche ottenere l’esdebitazione delle eventuali passività residue riferite al defunto, ma attraverso la chiusura formale della procedura di liquidazione ereditaria e non per mezzo di un provvedimento dell’OCC o del tribunale fallimentare.

Da questa prospettiva, la tutela degli eredi dai debiti del de cuius è già insita nel nostro diritto ereditario: la rinuncia li mette al riparo totale, l’accettazione con beneficio li protegge parzialmente. Non serve – né è permesso – un piano di sovraindebitamento per annullare i debiti del caro estinto. L’ordinamento preferisce bilanciare gli interessi diversamente: da un lato i creditori hanno comunque la possibilità di rifarsi sui beni lasciati dal defunto (evitando che l’eredità diventi un escamotage per azzerare i debiti); dall’altro gli eredi consapevoli possono scegliere di non farsi carico di più di quanto ricevuto. È bene ricordare, infine, che alcuni debiti non si estinguono nemmeno con la morte del debitore né possono essere eliminati da alcuna procedura: tra questi vi sono in particolare le obbligazioni alimentari e di mantenimento verso i familiari. Tali debiti (si pensi agli assegni dovuti al coniuge separato o ai figli minorenni) restano a carico dell’erede se assume la qualità di successore, poiché nascono da doveri personali inderogabili. La legge infatti esclude espressamente i debiti familiari da mantenimento da ogni esdebitazione (art. 282 CCII), a tutela dei soggetti deboli: nemmeno la morte o una procedura concorsuale possono cancellare gli arretrati dovuti a moglie o figli. Chi subentra nell’eredità dovrà quindi onorare separatamente eventuali debiti per alimenti non pagati dal defunto, o lasciare che tali obblighi gravino sugli eventuali coeredi obbligati in solido, perché lo Stato – pur tendendo una mano al debitore in difficoltà – non sacrifica i diritti del coniuge e della prole.

Fideiussioni e prestiti in famiglia: il garante è un consumatore?

Una situazione diversa ma affine è quella di chi, per aiutare un familiare, si ritrova personalmente indebitato. Accade spesso: genitori che fanno da garanti per il mutuo dei figli, mariti e mogli coobbligati in finanziamenti comuni, fratelli che firmano per sostenere l’azienda di un congiunto. In questi casi, la domanda che sorge è se il garante familiare possa essere trattato ancora come un debitore “consumatore”, beneficiando delle procedure dedicate ai privati, oppure venga considerato alla stregua di un soggetto “professionale” per via del legame con un’attività economica. La distinzione è cruciale: la ristrutturazione dei debiti del consumatore (ex piano del consumatore) è riservata a chi ha debiti di natura personale, estranei all’attività d’impresa o di lavoro autonomo. Chi ha debiti “professionali” deve invece percorrere altre strade (ad esempio il concordato minore, se non è fallibile).

Per chiarire questo confine, è intervenuta in più occasioni la giurisprudenza, delineando casi pratici opposti. Da un lato, chi garantisce debiti legati alla propria attività imprenditoriale non è considerato consumatore. Emblematica è la vicenda del socio di una s.r.l. che aveva prestato fideiussione per i debiti bancari della società di cui faceva parte: la Cassazione ha ribadito che un socio–fideiussore che garantisce un finanziamento funzionale alla sua impresa non può accedere al piano del consumatore (Cass. civ., Sez. I, ord. n. 29746/2025). In altre parole, conta la finalità concreta del debito: se Tizio, piccolo imprenditore, firma da garante per un mutuo destinato alla sua azienda, quel debito – per lui personale – è in realtà strumentale all’attività d’impresa. Ne consegue che Tizio, per quella posizione debitoria, non è un consumatore e non può usufruire della procedura riservata ai consumatori (dovrà semmai ricorrere al concordato minore o ad altra soluzione prevista per i debiti da attività economica). La Cassazione ha espresso questo principio in continuità con precedenti orientamenti: già in passato si era escluso il beneficio della legge 3/2012 a garanti legati all’attività di impresa (si pensi a chi aveva fatto da fideiussore per la propria società di persone). L’idea di fondo è evitare scorciatoie indebite: le procedure “più favorevoli” per i debitori civili non devono diventare un riparo per gli imprenditori che hanno assunto rischi aziendali. Il sistema distingue nettamente il debito personale dal debito d’impresa, guardando alla causa originaria: se il debito nasce per scopi familiari o di consumo, è “meritevole” di maggior protezione; se nasce nel contesto di un’attività economica, richiede forme diverse di regolazione, anche quando a farsene carico è la persona fisica dietro l’impresa.

Dall’altro lato, però, quando il familiare garante è estraneo all’attività imprenditoriale altrui, la legge lo considera ancora un consumatore. È il caso, ad esempio, di genitori eccessivamente generosi che abbiano garantito il figlio senza alcun coinvolgimento nella sua azienda. Qui la finalità del debito per il garante non è un lucro proprio, ma la solidarietà familiare. I tribunali hanno mostrato sensibilità verso queste situazioni: prestare il proprio patrimonio a garanzia per un congiunto è visto come un gesto altruistico, non come un’attività speculativa. Una decisione esemplare in tal senso viene dal Tribunale di Termini Imerese, che ha affrontato il caso di una coppia di coniugi indebitati anche a causa di fideiussioni concesse in favore del figlio. I genitori avevano garantito un mutuo bancario contratto dal figlio per la sua piccola impresa, oltre ad aver contratto debiti per aiutarlo in spese personali (ad esempio il finanziamento per il suo matrimonio). Il tribunale ha stabilito che il fatto di aver supportato economicamente il figlio, sia nella sua vita privata sia nella sua attività imprenditoriale, non priva i genitori della qualifica di consumatori né preclude la loro meritevolezza (Trib. Termini Imerese, sent. 30 maggio 2025). In quella pronuncia si sottolinea come madre e padre fossero rimasti estranei alla gestione dell’impresa del figlio, mossi unicamente da intenzioni di aiuto familiare. Di conseguenza, nel valutare la loro domanda di sovraindebitamento, il giudice li ha considerati meritevoli di accedere alla procedura come debitori civili. Il sostegno dato al figlio – ancorché legato in parte a un’attività economica – è stato letto come atto di solidarietà, non come coinvolgimento imprenditoriale diretto. Allo stesso modo, quella quota di debito derivante dalla garanzia non è stata valutata come “colpa grave” a loro carico: al contrario, la responsabilità degli intermediari finanziari è finita sotto la lente, giacché le banche avevano concesso crediti al figlio oltre misura confidando nelle firme di avallo dei genitori.

Questa interpretazione favorevole al garante familiare riflette un principio etico e giuridico insieme: aiutare un proprio caro non deve diventare una condanna senza appello. Se il genitore (o qualsiasi parente) si indebita per bontà, senza trarne profitto personale, l’ordinamento tende a concedergli il beneficio del dubbio e l’accesso alle misure di sollievo dai debiti. Naturalmente, ciò vale finché il comportamento resta nell’alveo della correttezza: se mai emergessero abusi – ad esempio un prestanome familiare che finge il ruolo di garante per frodare i creditori – la tutela verrebbe immediatamente meno. Ma nei casi comuni, fatti di sacrifici in buona fede, la giurisprudenza del 2025 indica chiaramente la strada della comprensione: “Uno per tutti e tutti per uno”, verrebbe da dire con il motto reso celebre da Dumas, nel senso che il diritto riconosce lo spirito di mutuo soccorso familiare e non lo punisce.

Soluzioni coordinate per i debiti familiari

Alla luce di quanto visto, emerge un quadro di ampia tutela per le famiglie sovraindebitate. Da un lato, chi subisce passivamente i debiti di un parente (come l’erede di un debitore) può difendersi con strumenti come la rinuncia o il beneficio d’inventario, evitando che obblighi insostenibili travolgano il proprio patrimonio. Dall’altro, chi si è attivato per aiutare un familiare (firmando una fideiussione o contraendo debiti condivisi) non viene automaticamente classificato come imprudente o “professionista del debito”: se ha agito per amore familiare e senza secondi fini, potrà ugualmente beneficiare delle procedure di sovraindebitamento destinate ai consumatori. In aggiunta, il nuovo Codice della crisi ha introdotto l’innovativa possibilità di una procedura familiare unificata. L’art. 66 CCII consente a più membri dello stesso nucleo (coniugi, conviventi o parenti conviventi) di presentare un’unica domanda congiunta, così da gestire insieme i debiti che magari hanno contratto assieme o che sono strettamente connessi. Si pensi al mutuo cointestato a marito e moglie, o ai debiti accumulati da entrambi per far fronte alle medesime spese familiari: invece di due procedure separate, oggi se ne può istruire una sola, con evidenti vantaggi in termini di coordinamento, costi e tempi. Questa soluzione è particolarmente utile quando la crisi colpisce simultaneamente più componenti della famiglia, e rappresenta un’evoluzione in linea con il principio per cui “l’unione fa la forza” anche nel superare le difficoltà economiche (non a caso la riforma parla di favor familiae nell’insolvenza). Va precisato che per accedere alla procedura familiare occorre rispettare requisiti stringenti (convivenza oppure origine comune dell’indebitamento) e che restano esclusi i debiti “promiscui” non chiaramente condivisi; tuttavia, quando applicabile, questa possibilità di procedere insieme all’esdebitazione dell’intero nucleo offre un concreto spiraglio di salvezza collettiva, evitando che un membro della famiglia si risani mentre un altro resta oppresso dai debiti.

In definitiva, il debitore onesto non è più solo, nemmeno di fronte ai debiti familiari. La legge e i giudici riconoscono che dietro le difficoltà economiche ci possono essere vicende umane complesse – la perdita di una persona cara, la scelta di aiutare un figlio, un coniuge rimasto unico stipendio – e modulano la risposta in modo da coniugare giustizia e misericordia. Dai tribunali di merito sino alla Cassazione, l’indirizzo attuale è chiaro: favorire la seconda opportunità senza pregiudicare i creditori incolpevoli. Persino un ex imprenditore fallito è stato ammesso a una nuova procedura di liquidazione controllata per liberarsi dei debiti residui (Trib. Verona, sent. 13 giugno 2025), a riprova dell’evoluzione inclusiva del sistema. La stessa Corte di Cassazione ha più volte invitato a non applicare barriere eccessivamente rigide in ingresso, demandando la verifica finale della buona fede al termine del percorso (ad esempio, Cass. civ., Sez. I, ord. n. 22074/2025 enfatizza che eventuali dubbi sul debitore non devono sbarrargli l’accesso, purché si proceda con trasparenza e nell’interesse di tutti i creditori). Questo significa che anche un indebitato con qualche ombra nel passato – magari per scelte finanziarie poco avvedute – oggi può sperare di rimettersi in carreggiata se agisce con correttezza. In particolare quando in gioco c’è la tranquillità di un’intera famiglia, le istituzioni tendono a bilanciare con saggezza le esigenze: da un lato proteggere i creditori da condotte veramente sleali, dall’altro non trasformare un evento sfortunato o un gesto generoso in una condanna definitiva. Come scrive Tolstoj, «Ogni famiglia infelice è infelice a modo suo»: le cause dei dissesti familiari possono essere tante, ma l’ordinamento italiano offre oggi una serie di strumenti flessibili per affrontarli, restituendo ai debitori meritevoli – e alle loro famiglie – la dignità di un nuovo inizio.

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  • 30 dicembre 2025
  • Redazione

Autore: Redazione - Staff Studio Legale MP


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