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Cooperative sociali e servizi sociali: tutele negli appalti - Studio Legale MP - Verona

La riforma del Codice Appalti e le ultime pronunce giurisprudenziali valorizzano il ruolo delle cooperative sociali nell’erogazione di servizi assistenziali, garantendo inclusione dei soggetti fragili e maggiore trasparenza nelle procedure di affidamento

Un nuovo Codice Appalti a misura di inclusione

Nel 2023 l’Italia ha riformato profondamente la disciplina dei contratti pubblici, introducendo previsioni volte a favorire l’inclusione sociale. Il D.Lgs. 36/2023 (nuovo Codice dei contratti pubblici) dedica un apposito articolo ai “contratti riservati” nel settore dei servizi alla persona. In particolare, le stazioni appaltanti possono riservare la partecipazione a determinate gare – o l’esecuzione di specifiche commesse – a cooperative sociali e imprese analoghe, a condizione che queste impieghino una quota minima di lavoratori disabili o svantaggiati (generalmente almeno il 30%). Lo scopo è promuovere l’inserimento lavorativo di persone fragili attraverso lo strumento dell’appalto pubblico, senza però rinunciare alla qualità delle prestazioni. In altre parole, la legge riconosce che le cooperative di tipo B (quelle finalizzate all’integrazione lavorativa) svolgono una funzione meritoria e consente di derogare parzialmente alla concorrenza aprendo loro corsie preferenziali nelle gare. Ciò non significa eliminare ogni garanzia: il principio di trasparenza rimane, ma viene calibrato per bilanciare efficienza amministrativa e solidarietà. In medio stat virtus: il sistema cerca di trovare un punto di equilibrio tra la massima apertura del mercato e l’esigenza di sostenere chi opera in favore dei più deboli.

Un esempio concreto di questa impostazione è dato dall’innalzamento delle soglie per gli affidamenti diretti nel campo dei servizi sociali. Oggi importi anche significativi possono essere affidati senza gara formale, purché nel rispetto dei requisiti di legge e con adeguata motivazione. Ciò permette, ad esempio, di accelerare l’attivazione di servizi essenziali (assistenza domiciliare, trasporto disabili, gestione di centri socio-educativi) coinvolgendo rapidamente cooperative qualificate del territorio. La semplificazione procedurale riduce i tempi morti burocratici che mal si conciliano con i bisogni urgenti delle persone fragili. Tuttavia, come vedremo, semplificazione non significa arbitrio: la giurisprudenza ha posto paletti importanti affinché queste facoltà speciali non vengano abusate o distorte.

Affidamenti riservati: opportunità e responsabilità

L’idea degli appalti riservati alle cooperative sociali rappresenta un’importante opportunità di crescita per il terzo settore e di inclusione per i destinatari dei servizi. Comuni ed enti pubblici possono, ad esempio, affidare a cooperative sociali di tipo B la gestione di attività come la manutenzione del verde, le pulizie di edifici pubblici o altri servizi, sapendo di creare al contempo posti di lavoro protetti per persone disabili o svantaggiate. Questo modello “duale” – in cui il contratto pubblico per un servizio si traduce anche in un beneficio occupazionale sociale – incarna lo spirito della legge n. 381/1991 (istitutiva delle cooperative sociali) e le politiche di responsabilità sociale dello Stato. Numerose amministrazioni locali, specie nel centro-nord, adottano da anni clausole sociali e bandi dedicati per favorire tali forme di partenariato pubblico-privato dal volto umano.

Va sottolineato, però, che accanto alle opportunità vi sono precise responsabilità. La normativa vigente impone comunque di rispettare criteri di imparzialità, economicità e trasparenza. Ad esempio, quando un’amministrazione decide di riservare una gara a cooperative sociali, deve dare adeguata pubblicità all’avviso e verificare i requisiti dei partecipanti con rigore. Similmente, nell’affidamento diretto di servizi sotto soglia a una cooperativa, occorre comunque adottare un provvedimento motivato che dia conto delle ragioni della scelta. Non basta invocare la finalità sociale: bisogna dimostrare che l’operatore individuato è idoneo e che l’offerta è congrua. In pratica, la discrezionalità amministrativa non esime dall’onere di motivazione. Su questo punto è intervenuta più volte la giurisprudenza recente per richiamare le amministrazioni ai loro doveri.

Significativa, ad esempio, è la pronuncia del TAR Sardegna, Sez. I, sent. n. 793/2025 (3 ottobre 2025): i giudici hanno ribadito che anche nelle procedure fiduciarie semplificate permane l’obbligo di motivare le ragioni della scelta dell’operatore, pena l’illegittimità dell’affidamento. Nel caso esaminato, un ente aveva affidato un servizio sociale sotto-soglia senza una chiara spiegazione del perché fosse stata scelta proprio quella cooperativa; il TAR, pur riconoscendo l’ampio margine discrezionale previsto dal nuovo Codice, ha annullato l’atto per carenza di motivazione, ricordando che nemmeno l’affidamento “diretto” sfugge al controllo di logicità e ragionevolezza. Allo stesso modo, il TAR Campania (Salerno), Sez. I, sent. n. 958/2025 (27 maggio 2025) ha confermato che la scelta discrezionale dell’amministrazione “non sfugge al sindacato di legittimità del giudice” se risulta viziata da illogicità o arbitrarietà. In altre parole, riservare una gara o procedere con affidamento semplificato non equivale a procedere “a occhi chiusi”: bisogna sempre poter spiegare perché si è preferito un certo operatore e dimostrare di aver valutato l’interesse pubblico in modo ponderato.

Un altro elemento di garanzia è la possibilità, per gli operatori esclusi o concorrenti, di adire il giudice amministrativo per denunciare eventuali irregolarità. Ad esempio, una cooperativa sociale che si ritenga ingiustamente tagliata fuori da un affidamento può presentare ricorso al TAR competente. La giurisprudenza offre ormai un quadro abbastanza chiaro dei confini entro cui l’azione amministrativa deve muoversi: favor partecipationis per le cooperative sociali sì, ma entro limiti di correttezza. Emblematico è un caso deciso dal TAR Lombardia (Milano), Sez. IV, sent. n. 1778/2024, in cui una cooperativa contestava l’affidamento diretto di un servizio di inserimento lavorativo ad un’altra impresa sociale. Il TAR ha valutato attentamente il procedimento seguito dall’amministrazione: quest’ultima, pur avendo agito in regime semplificato, aveva comunque richiesto più preventivi e verbalizzato una comparazione qualitativa delle offerte. Risultato: nessuna violazione riscontrata e ricorso respinto, perché l’ente pubblico aveva sì usufruito della corsia preferenziale concessa dalla legge, ma senza travalicare in arbitrio. È un precedente importante, che dimostra come semplificazione non significhi assenza di regole, bensì applicazione proporzionata delle stesse.

Co-progettazione: l’alternativa collaborativa

Parallelamente agli appalti riservati, esiste un altro strumento giuridico per coinvolgere il terzo settore nell’erogazione dei servizi sociali: la co-progettazione. Prevista dall’art. 55 del D.Lgs. 117/2017 (Codice del Terzo Settore), la co-progettazione consente a enti pubblici e soggetti del non profit (cooperative sociali, associazioni, fondazioni) di programmare e gestire insieme interventi innovativi nel campo sociale, al di fuori delle rigide logiche dell’appalto. Invece di stazione appaltante e impresa aggiudicataria, qui parliamo di partnership: il Comune e la cooperativa condividono risorse e responsabilità per raggiungere obiettivi comuni di interesse generale, ad esempio l’inclusione di una certa categoria di soggetti fragili. Questo modello, inizialmente guardato con sospetto per il timore che eludesse la concorrenza, ha ottenuto il pieno avallo della giurisprudenza. La Corte Costituzionale (sent. n. 131/2020) ha riconosciuto la legittimità della co-progettazione come percorso distinto e altrettanto nobile rispetto all’appalto, sottolineando che il fine di solidarietà può giustificare forme di collaborazione differenti dalle gare di mercato.

Anche il Consiglio di Stato e i TAR hanno delineato i confini di questo strumento. La co-progettazione è ammissibile quando si perseguono finalità sociali specifiche e non c’è un interesse lucrativo prevalente del partner privato, ma piuttosto la volontà di coinvestire per il bene comune. Se questi presupposti sono rispettati, l’ente può attivare avvisi pubblici di co-progettazione e scegliere il partner in base a criteri di qualità progettuale, senza dover applicare il Codice Appalti. Ad esempio, un Comune potrebbe co-progettare con alcune cooperative un nuovo servizio territoriale per l’autonomia dei disabili gravi, mettendo a disposizione spazi e fondi mentre le cooperative mettono personale e know-how: insieme definiscono il progetto e lo realizzano. Questo approccio incrementa la creatività e l’appropriatezza degli interventi sociali, perché sfrutta l’esperienza diretta degli enti sul campo.

Naturalmente, occorre evitare abusi: non tutto può essere etichettato come co-progettazione per bypassare le regole. La giurisprudenza vigila affinché tale istituto non diventi un escamotage. Emblematica è la sentenza TAR Liguria, Sez. II, n. 310/2024 (3 maggio 2024): la regione Liguria aveva coinvolto enti del terzo settore in una co-progettazione che però comprendeva anche l’esecuzione di lavori strutturali e servizi commerciali. Il TAR ha annullato la procedura, chiarendo che quando l’attività da svolgere assume natura di appalto (perché consiste in prestazioni tipiche da affidare al mercato, come opere edili o forniture dietro corrispettivo), non la si può mascherare da co-progettazione. In sostanza, ubi ius, ibi remedium: se un procedimento cooperativo tradisce la sua funzione sociale e lesiona la par condicio, i giudici intervengono a ripristinare la legalità. Nella prassi corretta, però, co-progettazione e appalti riservati convivono e offrono agli enti due diverse vie per coinvolgere le cooperative sociali nei servizi ai cittadini. La scelta dell’una o dell’altra dipende dalla natura dell’intervento: più innovativo e sperimentale nel caso della co-progettazione, più strutturato e continuativo nel caso dell’appalto.

Un sistema più inclusivo, ma sotto controllo

Dal panorama descritto emerge un sistema in evoluzione, che cerca di rendere la solidarietà sociale parte integrante delle regole economiche. Le cooperative sociali oggi sono protagoniste riconosciute nel welfare locale: possono accedere a percorsi agevolati per convenzionarsi con la pubblica amministrazione e nel contempo garantire posti di lavoro a persone che altrimenti sarebbero ai margini. L’orientamento legislativo e giurisprudenziale degli ultimi anni è chiaro nel rafforzare le tutele per questi strumenti. Da un lato, si potenziano gli istituti pro-inclusione (basti pensare al significativo aumento dei fondi destinati al “Dopo di noi” e all’inclusione lavorativa dei disabili, o all’istituzione in alcuni territori di registri qualificati delle cooperative di inserimento). Dall’altro lato, i giudici richiamano tutti al rispetto delle norme sostanziali: la legge di ferro della motivazione e della correttezza procedurale vale anche quando si perseguono scopi sociali. Questo doppio binario garantisce che sommum ius, summa iniuria non cali sulla materia: un’applicazione troppo rigida delle regole (summum ius) sarebbe un’ingiustizia per i fragili (summa iniuria), ma anche un eccesso di discrezionalità senza controlli creerebbe distorsioni e privilegi arbitrari. Ecco perché ogni deroga pro sociali è bilanciata da obblighi di trasparenza e verifiche giurisdizionali.

In definitiva, l’inclusione dei soggetti deboli sta diventando un valore trasversale anche nel diritto amministrativo. Non si tratta più solo di assistenza, ma di partecipazione attiva: le persone con disabilità non sono beneficiarie passive, bensì lavoratori e cittadini che, attraverso le cooperative, contribuiscono essi stessi a fornire servizi alla collettività. D’altro canto, la Pubblica Amministrazione, quando sceglie la via preferenziale per affidare un servizio a fini sociali, sa di dover agire con ancora maggiore senso di responsabilità. La presenza del fine solidale non elimina il fine pubblico, anzi lo qualifica ulteriormente. Come ha efficacemente notato un recente commentatore, “il diritto amministrativo del futuro sarà sempre più un diritto inclusivo”: le regole devono servire non solo a garantire efficienza, ma anche a promuovere uguaglianza sostanziale.

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  • 18 dicembre 2025
  • Redazione

Autore: Redazione - Staff Studio Legale MP


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