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Concordato minore: il salva-debiti per le piccole imprese - Studio Legale MP - Verona

La procedura che offre una seconda chance alle piccole aziende sommerse dai debiti

 

Che cos’è il concordato minore e chi può accedervi

Il concordato minore è uno strumento introdotto dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCI) per aiutare gli imprenditori non fallibili – tipicamente ditte individuali, piccoli imprenditori commerciali sotto le soglie di fallibilità, artigiani, start-up personali e professionisti – a uscire da situazioni di debito insostenibile. Si tratta dell’evoluzione dell’“accordo del debitore” previsto dalla vecchia Legge 3/2012, ora reso più efficace e accessibile. In pratica, il debitore propone un piano di ristrutturazione ai propri creditori: un unico piano concordatario in cui si impegna a pagare, in tutto o in parte, i debiti accumulati, secondo tempi e modalità sostenibili per la sua attività. Se il piano viene omologato dal tribunale, il debitore dovrà rispettarne i pagamenti e, al termine, otterrà l’esdebitazione (cioè la cancellazione definitiva di eventuali debiti residui non pagati).

Chi può chiederlo? Possono accedere al concordato minore gli imprenditori “sotto soglia” non assoggettabili a fallimento o liquidazione giudiziale, nonché i soci di società di persone per i debiti personali. È fondamentale però che si tratti di debiti derivanti dall’attività economica o mista. Infatti, se le obbligazioni sono state contratte per scopi personali estranei all’impresa, il debitore rientra nella categoria del consumatore e dovrà semmai utilizzare l’altra procedura prevista (il piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore). La distinzione è netta: come chiarito dalla Cassazione, un socio che abbia garantito con fideiussione i debiti della propria società agendo per finalità imprenditoriali non può qualificarsi “consumatore” e quindi deve ricorrere agli strumenti per imprenditori come il concordato minore, non a quelli pensati per i privati consumatori semplificati (Cass. civ., Sez. I, ord. n. 29746/2025). In altre parole, conta la natura concreta dei debiti: se sono legati all’esercizio di un’attività d’impresa o professionale, l’accesso alle procedure consumer è precluso e bisogna seguire la strada più articolata del concordato minore.

Questa rigidità serve a evitare abusi e a mantenere equilibrato il sistema. Lo ha evidenziato una recente pronuncia: un piano familiare presentato congiuntamente da due coniugi è stato dichiarato inammissibile perché uno dei due coniugi aveva anche debiti di natura professionale (quindi non era un “puro consumatore”), circostanza che impediva di utilizzare la procedura semplificata riservata ai consumatori. Il Tribunale di Lecce ha infatti ritenuto che la presenza di debiti promiscui (in parte personali, in parte d’impresa) facesse scattare l’esigenza di adottare lo schema più complesso del concordato minore, non potendosi applicare le tutele “facilitate” previste per i soli consumatori (Trib. Lecce, sent. 3 novembre 2025). Allo stesso modo, è stata negata la procedura semplificata a un ex socio di società di persone gravato da debiti IVA della vecchia attività, trattandosi di obbligazioni estranee alla sfera privata consumer. In sintesi, la legge e i giudici mantengono fermo il principio: le soluzioni di sovraindebitamento senza voto dei creditori vanno riservate a chi si è indebitato per esigenze di vita, non per rischi d’impresa. Summum ius, summa iniuria: può sembrare severo applicare rigorosamente questa distinzione, ma è necessario per evitare disparità di trattamento e aggiramenti delle regole.

Vantaggi del concordato minore per le piccole imprese

Per una piccola attività sull’orlo del collasso finanziario, il concordato minore rappresenta un’ancora di salvezza concreta. Rispetto alle tradizionali procedure fallimentari (pensate per aziende medio-grandi), il concordato minore è più flessibile e calibrato sulla dimensione ridotta dell’impresa individuale o familiare. Ecco alcuni benefici chiave:

Continuità dell’attività: l’imprenditore può spesso proseguire la propria attività durante la procedura. A differenza del fallimento, non viene necessariamente spossessato della gestione: può presentare un piano in continuità (se in grado di generare reddito futuro per pagare i creditori) oppure decidere di liquidare alcuni beni ma mantenere in vita l’azienda, se sostenibile. L’obiettivo è evitare la chiusura definitiva e favorire il risanamento.

Trattamento del debito su misura: nel piano l’imprenditore può proporre soluzioni diversificate ai creditori. Ad esempio, può offrire il pagamento parziale dei debiti chirografari (quelli non garantiti da pegni o ipoteche) e dilazioni pluriennali, impegnando una quota dei profitti futuri. Può anche prevedere la falcidia dei crediti privilegiati (fiscali, previdenziali, ecc.) purché ne garantisca un pagamento non inferiore a quanto otterrebbero dalla liquidazione dei beni su cui vantano garanzia. Importante novità è la possibilità di includere anche i debiti tributari e contributivi: cartelle esattoriali, IVA e contributi possono essere ristrutturati, con pagamento parziale e stralcio delle sanzioni, purché la proposta sia conveniente rispetto alla liquidazione. La stessa Cassazione ha confermato che l’omologazione del concordato minore (analogamente al piano del consumatore) può imporre il taglio dei debiti fiscali anche senza un’esplicita adesione dell’Erario, a condizione che il piano offra al Fisco un trattamento non deteriore rispetto all’alternativa liquidatoria (Cass. civ., Sez. I, ord. n. 5157/2025). Ciò consente di affrontare anche grossi debiti con l’Agenzia delle Entrate o gli enti previdenziali, spesso decisivi per le sorti dell’impresa.

Stop alle azioni esecutive: dalla presentazione del ricorso, il debitore è protetto da misure automatiche di stay. Il tribunale, infatti, dispone la sospensione di pignoramenti, sequestri e altre azioni dei creditori sul patrimonio dell’imprenditore. Questo “scudo protettivo” crea un periodo di tregua durante il quale l’azienda non subisce ulteriori aggressioni e può tentare di riorganizzarsi. Anche le procedure già iniziate (es. aste immobiliari) vengono bloccate. È un vantaggio cruciale per evitare il dissesto irreversibile mentre si negozia con i creditori.

Riduzione dei costi e tempi più rapidi: il concordato minore, pur essendo una procedura giudiziale, ha un iter più snello rispetto al fallimento. Non c’è un curatore fallimentare che gestisce l’impresa, ma un professionista nominato dall’Organismo di Composizione della Crisi (OCC), il “gestore della crisi”, che affianca l’imprenditore nella predisposizione del piano e vigila sulla correttezza delle informazioni fornite. Le spese di procedura sono generalmente inferiori a quelle di un fallimento, e molti adempimenti burocratici sono semplificati. Inoltre, se il piano viene accettato ed omologato, l’intera vicenda può chiudersi nell’arco di pochi mesi (per l’omologazione) più gli anni di esecuzione del piano previsti: spesso i piani d’impagamento si sviluppano su 4–5 anni, ma già dopo l’omologazione l’imprenditore ritrova serenità perché sa di avere un percorso definito e sotto protezione giudiziale.

Seconda opportunità reale: forse l’aspetto più importante, a fine procedura l’imprenditore meritevole può ottenere l’esdebitazione, cioè la cancellazione di tutti i debiti rimasti eventualmente insoluti dopo aver eseguito il piano concordato. Significa che la piccola impresa può davvero ripartire da zero, liberata dai vecchi fardelli finanziari. Come recita un adagio latino, «nemo tenetur ad impossibilia» – nessuno è tenuto a fare l’impossibile: se l’imprenditore ha messo a disposizione tutto il ragionevolmente ottenibile per i creditori, la legge gli consente di voltare pagina e ricominciare senza più quella zavorra.

Citazione letteraria:Anche la notte più buia finirà e il sole sorgerà” (V. Hugo) – questa frase ben rappresenta lo spirito della riforma: dopo il buio dei debiti arriva finalmente una nuova alba per l’imprenditore onesto che cerca aiuto.

I paletti da rispettare: prelazioni e par condicio

Accanto ai vantaggi, il concordato minore comporta anche vincoli precisi. Non è un “liberi tutti”: il debitore deve rispettare alcune regole di equità, soprattutto nel trattamento dei creditori, al fine di ottenere l’approvazione del tribunale. In particolare:

Parità di trattamento dei creditori pari grado: Il piano può certamente differenziare tra categorie di crediti (ad esempio, può pagare in misura maggiore i creditori muniti di garanzie reali e offrire solo una percentuale ridotta ai chirografari), ma non può alterare ingiustificatamente l’ordine delle prelazioni. Una recente sentenza ha ribadito che il debitore non può, di propria iniziativa, privilegiare arbitrariamente un creditore a scapito di altri dello stesso grado. Nel caso specifico, un professionista sovraindebitato aveva proposto di pagare al 100% solo la banca ipotecaria (tutelando così l’immobile dato in garanzia) e di pagare invece in misura irrisoria – circa il 5% – tutti gli altri creditori, compresi quelli con privilegi sul resto del patrimonio (Erario e previdenza). Tribunale e Corte d’Appello avevano dichiarato inammissibile il piano per violazione della par condicio, e la Cassazione ha confermato il verdetto: non è ammesso un concordato minore che paghi integralmente un creditore ipotecario e lasci quasi a zero gli altri privilegiati senza il loro consenso (Cass. civ., Sez. I, sent. n. 28574/2025). In pratica, pur essendo più flessibile di un concordato preventivo tradizionale, il concordato minore non può sovvertire le regole fondamentali del concorso tra creditori. Se il debitore vuole degradare (tagliare) un credito privilegiato oltre i limiti di legge, deve ottenere l’adesione di quel creditore oppure offrire comunque a tutti i creditori privilegiati una soddisfazione proporzionata e non simbolica. Questa pronuncia si pone in linea con la giurisprudenza formatasi sul concordato preventivo “classico”, in cui da anni si afferma l’intangibilità dell’ordine delle cause di prelazione salvo che intervengano meccanismi di voto e maggioranze o il consenso del singolo creditore privilegiato a ricevere meno. Nel concordato minore, procedure di voto formalizzate non sono previste (i creditori possono eventualmente fare opposizione in sede di omologa), ma ciò non significa che il debitore possa ignorare la graduazione dei crediti: ogni trattamento differenziato deve avere un fondamento logico e giuridico. Il messaggio è chiaro: sì a piani creativi e sostenibili, no a piani spregiudicati che penalizzino oltre misura alcuni creditori.

No a furbizie su società collegate: Un altro limite riguarda il perimetro dei debiti che si possono includere. L’imprenditore individuale deve usare il concordato minore per sistemare i propri debiti personali o aziendali, ma non può sfruttarlo per risolvere indirettamente anche l’insolvenza di società di cui faceva parte senza passare per le procedure proprie di queste ultime. Ad esempio, un socio illimitatamente responsabile di una SNC non può presentare un concordato minore personale inserendovi anche i debiti sociali mentre la società è ancora attiva e operante. Così ha deciso il Tribunale di Verona, che ha dichiarato inammissibile la domanda di concordato minore presentata da un socio di due società in nome collettivo ancora in bonis, il quale intendeva “mettere nel piano” anche i debiti delle società. I giudici veronesi hanno negato questa scorciatoia, spiegando che finché la società è esistente e non liquidata, deve essere la società stessa ad avviare una procedura concorsuale (ad esempio un concordato minore collettivo), i cui effetti eventualmente si estenderanno poi anche ai soci, ma non è ammesso che il socio si ritagli unilateralmente i debiti sociali per gestirli separatamente (Trib. Verona, ord. 17 agosto 2025). Questa posizione ferma – condivisa anche da altri tribunali – mira a evitare aggiramenti: non si può usare le procedure per persone fisiche al fine di eludere le responsabilità e le regole che gravano sulle società. In alcuni casi particolari, quando la società di persone è di fatto inattiva pur non essendo ancora cancellata, la prassi ha mostrato qualche apertura (es. ammettendo una liquidazione controllata chiesta dai creditori anche verso i soci illimitati, per evitare stalli procedurali); ma si tratta di eccezioni minoritarie. La regola generale resta quella della separazione dei patrimoni: i debiti sociali si trattano con procedure concorsuali della società, i debiti individuali con quelle della persona, salvo ovviamente la responsabilità sussidiaria dei soci nelle forme previste.

Meritevolezza e trasparenza: l’onestà paga, gli abusi no

Come per tutte le procedure di sovraindebitamento, anche nel concordato minore l’accesso e soprattutto il beneficio finale dell’esdebitazione dipendono dalla meritevolezza del debitore. Il concetto di meritevolezza è stato per lungo tempo dibattuto, ma la sostanza è semplice: il piccolo imprenditore che chiede di essere sollevato dai debiti deve aver tenuto un comportamento onesto e diligente, senza truffare i creditori né aggravare la propria situazione con leggerezza colpevole. La normativa vigente (artt. 69 e 77 CCII) lo esprime indicando che il sovraindebitato non deve aver causato il proprio dissesto con dolo o colpa grave. In passato questa valutazione rischiava di essere punitiva; oggi, anche grazie all’intervento della giurisprudenza, prevale un approccio più equilibrato e concreto.

I giudici del 2025 hanno infatti sottolineato che non ogni errore imprenditoriale equivale a malafede. Ad esempio, il Tribunale di Napoli ha omologato un piano nonostante l’imprenditore avesse accumulato debiti molto superiori alle sue capacità reddituali, chiarendo che la semplice sproporzione tra passività e risorse non basta per escludere l’accesso alla procedura (Trib. Napoli, sent. 27 ottobre 2025). Ciò che conta – ha spiegato il giudice partenopeo – è l’assenza di condotte fraudolente o gravemente imprudenti: se il debitore ha agito magari con eccessivo ottimismo o imprudenza ma senza intenzione di ingannare i creditori, la seconda opportunità non gli va negata a priori. Analogamente, il Tribunale di Mantova ha ritenuto che il fatto di aver contratto prestiti a catena per coprire debiti precedenti non integri di per sé una colpa così grave da precludere l’esdebitazione (Trib. Mantova, sent. 16 giugno 2025), se è stato un tentativo disperato di rimediare alla crisi e non un artifizio doloso. In sostanza, l’ordinamento mostra comprensione verso chi è in difficoltà per sfortuna o errori “veniali” di gestione, mentre mantiene tolleranza zero verso i comportamenti veramente scorretti. Emblematico in tal senso il caso in cui il Tribunale di Brescia ha negato il beneficio dell’esdebitazione ad un piccolo imprenditore che si era indebitato oltre misura concedendo fideiussioni enormi per i debiti bancari della sua società, ben sapendo di non poterle onorare: una condotta giudicata gravemente imprudente e quasi in malafede, tale da integrare un abuso del credito (Trib. Brescia, sent. 28 maggio 2025). Insomma, clemenza verso il debitore onesto ma severità verso il “furbo”. Chi ha abusato scientemente del sistema creditizio, contando magari di farla franca con un concordato, non troverà sponde in tribunale – com’è giusto che sia.

Va ricordato inoltre che la trasparenza è imprescindibile. L’imprenditore deve presentare una documentazione completa e veritiera sulla propria situazione: elenco di tutti i debiti, stato patrimoniale e reddituale, eventuali garanzie prestate, beni personali e aziendali, pendenze fiscali, ecc. Ogni attivo occultato o informazione rilevante omessa può compromettere l’omologazione. La Cassazione ha di recente ribadito che il giudice deve verificare la completezza della relazione dell’OCC e l’assenza di elementi nascosti o ruoli economici non dichiarati, a tutela della correttezza della procedura (Cass. civ., Sez. I, sent. n. 28576/2025). In pratica, chi chiede ai creditori di fidarsi del suo piano deve giocare a carte scoperte: solo così potrà ottenere dal tribunale la fiducia necessaria per l’omologa e, in ultima analisi, la cancellazione dei debiti.

Verso un nuovo inizio: esdebitazione e riabilitazione completa

Se il concordato minore viene ammesso dal tribunale, approvato (anche in mancanza di adesione esplicita dei creditori, purché soddisfi i requisiti di legge) e infine eseguito con successo dal debitore, il risultato finale è l’esdebitazione totale. Ciò significa che tutti i debiti rimasti eventualmente non pagati secondo il piano vengono ugualmente cancellati per ordine del giudice. L’imprenditore insomma ottiene quella “liberazione” definitiva che gli consente di tornare ad una vita economica normale. Questo epilogo realizza pienamente il principio della seconda opportunità promosso anche dalla normativa UE: dopo gli anni di crisi e sacrifici, il debitore meritevole può scrollarsi di dosso il passato e guardare avanti.

Importante sottolineare che il fresh start oggi tende ad essere completo non solo giuridicamente ma anche dal punto di vista pratico della reputazione finanziaria. Infatti, un recente intervento giurisprudenziale ha stabilito che, al termine della procedura, devono essere rimosse tutte le tracce negative relative ad essa. In particolare, il Tribunale di Verona ha affermato che una volta omologato e interamente eseguito un piano, occorre dichiarare formalmente chiusa la procedura e disporre la cancellazione delle pubblicità pregiudizievoli (avvisi sul registro ufficiale, siti web di giustizia, ecc.), nonché informare i sistemi di informazione creditizia dell’avvenuta chiusura positiva (Trib. Verona, decr. 12 marzo 2025). In quel caso, il giudice ha ordinato all’OCC di eliminare dal portale ministeriale le iscrizioni relative all’apertura della procedura e alla sentenza di omologa, e di comunicare alla Centrale Rischi della Banca d’Italia e ai SIC privati la conclusione favorevole: ciò per evitare che il debitore, pur esdebitato, restasse marchiato come “cattivo pagatore”. Questo provvedimento segna un passo decisivo verso la piena riabilitazione del debitore: non solo niente più obblighi di pagamento, ma anche nessuna “etichetta” infamante che gli impedisca di ottenere credito in futuro. In passato, chi usciva da un fallimento o da un accordo spesso restava segnalato nelle banche dati per anni, con conseguenti difficoltà a ripartire davvero; oggi, grazie a questo orientamento, la pulizia reputazionale segue la cancellazione dei debiti. Naturalmente tale beneficio vale per chi ha agito correttamente e completato la procedura: chi invece frodasse i creditori perderebbe ogni tutela e incorrerebbe anche in responsabilità penali.

In definitiva, l’impianto attuale del concordato minore e delle procedure di sovraindebitamento in generale sta trovando un equilibrio avanzato tra esigenze di giustizia e obiettivi di fresh start. Da un lato, mai come oggi l’ordinamento offre agli imprenditori onesti in difficoltà strumenti efficaci per risollevarsi: si possono tagliare i debiti, dilazionarli, talora azzerarli, mettendo in salvo l’attività e tornando in bonis in pochi anni. Dall’altro lato, i paletti posti a tutela dei creditori e della correttezza garantiscono che questa seconda opportunità non si traduca in abusi: chi vuole ripartire deve metterci impegno, trasparenza e buona fede. Come disse qualcuno, “chi cade e si rialza è più forte di chi non è mai caduto”: l’importante è rialzarsi in modo leale, con l’aiuto delle norme ma senza calpestarle. Il concordato minore può davvero essere la strada della redenzione finanziaria per tante piccole aziende familiari o individuali oppresse dai debiti – una strada impegnativa ma sicura, se percorsa con l’assistenza giusta.

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  • 24 dicembre 2025
  • Redazione

Autore: Redazione - Staff Studio Legale MP


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