Cookie Consent by Free Privacy Policy Generator
Studio Legale MP - Verona logo
Composizione negoziata: imprese sotto soglia e risanamento - Studio Legale MP - Verona

Anche i piccoli imprenditori possono accedere alla composizione negoziata della crisi d’impresa, ma solo a fronte di un concreto progetto di risanamento aziendale. La recente giurisprudenza del 2025 ha chiarito che un piano meramente liquidatorio non basta: serve una strategia orientata alla continuità dell’attività o alla cessione dell’azienda come complesso funzionante, pena il diniego delle tutele previste

 

Composizione negoziata e imprese sottosoglia: il quadro normativo

La composizione negoziata della crisi d’impresa è uno strumento introdotto di recente nel nostro ordinamento (D.L. 118/2021 conv. in L. 147/2021, ora integrato nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza) per favorire l’emersione anticipata della crisi aziendale. Si tratta di un procedimento volontario e stragiudiziale assistito da un esperto indipendente, mirato a negoziare con i creditori soluzioni che evitino il tracollo dell’impresa. Vi possono accedere tanto le società di dimensioni medio-grandi quanto le imprese minori (c.d. “sottosoglia”), cioè quegli imprenditori commerciali che non superano i parametri dell’art. 2, lett. d) CCII (ricavi lordi annui fino a 200.000 €, debiti fino a 500.000 €, ecc.) e che dunque non sono soggetti alle normali procedure concorsuali come il fallimento (oggi liquidazione giudiziale).

Per queste piccole imprese in sovraindebitamento, la composizione negoziata si affianca agli strumenti tradizionali della Legge 3/2012 (ora trasfusi nel CCII come “concordato minore”, “piano di ristrutturazione del consumatore” e “liquidazione controllata”). In pratica, anche il panettiere, l’artigiano o il piccolo imprenditore familiare possono richiedere la nomina di un esperto e beneficiare – in teoria – delle stesse protezioni previste per le aziende più grandi: ad esempio, il blocco temporaneo dei creditori (le “misure protettive” ex art. 18 CCII) e la sospensione degli obblighi civilistici di ricapitalizzazione in caso di perdite (art. 20 CCII). Per le imprese sottosoglia la procedura è calibrata con alcuni adattamenti: la nomina dell’esperto avviene tramite la Camera di Commercio con il coinvolgimento degli OCC (Organismi di Composizione della Crisi) e i costi sono contenuti, consentendo anche ai debitori minori di tentare un risanamento assistito.

Tuttavia, l’accesso alla composizione negoziata non è incondizionato. La legge stessa, all’art. 12 CCII, precisa che l’obiettivo dev’essere il risanamento dell’impresa, perseguibile anche “mediante il trasferimento dell’azienda o di rami di essa” (quindi attraverso una continuità indiretta, con cambio di proprietà) e non necessariamente con la prosecuzione dell’attività da parte dello stesso imprenditore. Il concetto chiave è la conservazione dei valori aziendali: la composizione negoziata mira a preservare la continuità economica dell’impresa (posti di lavoro, know-how, avviamento), sia tramite ristrutturazione interna sia tramite una cessione a terzi, se ciò consente di evitare la dispersione del patrimonio aziendale in una liquidazione fallimentare.

Il nodo del piano liquidatorio: la posizione dei Tribunali

Sin dai primi casi pratici, è emerso un dibattito sulla possibilità che un piccolo imprenditore in crisi utilizzi la composizione negoziata solo per liquidare i propri beni e pagare (in parte) i creditori, senza alcuna prospettiva di proseguire l’attività. In altri termini: la composizione negoziata può essere usata come anticamera di una liquidazione “pilotata” dell’azienda, magari seguita da un concordato semplificato liquidatorio (lo strumento previsto dall’art. 25-sexies CCII nel caso in cui le trattative negoziate non riescano)? Oppure è riservata soltanto ai casi in cui l’impresa ha ancora possibilità di essere risanata e salvata come going concern?

La risposta della giurisprudenza di merito si sta orientando in modo netto su questa seconda linea. In particolare, varie pronunce del 2025 hanno escluso che un piano meramente liquidatorio possa giustificare l’accesso pieno alla composizione negoziata per le imprese sottosoglia. I giudici sottolineano che il fine ultimo dell’istituto è il risanamento, non la semplice liquidazione del patrimonio in favore dei creditori (per quanto questi possano ricavare qualcosa in più rispetto a un fallimento). Di conseguenza, se fin dall’inizio l’imprenditore prospetta solo la vendita degli asset e la chiusura dell’attività, il Tribunale nega la conferma delle misure protettive.

Questa posizione è stata espressa chiaramente dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere (ord. 10 gennaio 2025, Giud. Bernardel), il quale – preso atto dell’esistenza di due orientamenti opposti sul tema – ha aderito a quello più rigoroso: niente misure protettive se il piano è “squisitamente liquidatorio” e non offre una ragionevole possibilità di risanare l’impresa. Nel caso concreto, un’imprenditrice sottosoglia aveva avviato la composizione negoziata puntando solo al recupero di alcuni crediti e alla liquidazione dei beni, senza iniziative di continuità. Il giudice campano ha rilevato che tali operazioni liquidatorie non equivalgono a una cessione dell’azienda o di un ramo, perché non assicurano alcuna prosecuzione dell’attività. Manca dunque la prospettiva richiesta dall’art. 12 CCII. Di conseguenza, con l’ordinanza citata, è stato rigettato il ricorso dell’imprenditrice e non sono state confermate le misure protettive richieste: l’azienda, priva di tutela, è rimasta esposta alle azioni esecutive dei creditori.

Allo stesso modo si è espresso il Tribunale di Verona. In un provvedimento del 10 marzo 2025 (ord. Trib. Verona, Est. Pagliuca), il giudice scaligero ha sottolineato che la conferma del blocco delle azioni dei creditori può avvenire solo se “l’accesso alla composizione negoziata sia avvenuto prospettando il risanamento dell’attività d’impresa sulla base di un piano fattibile e verosimilmente idoneo a conseguire tale risultato”. In mancanza di ciò, la richiesta di misure protettive va respinta. In particolare – aggiunge l’ordinanza veronese – non basta prospettare di vendere i beni aziendali per pagare (parzialmente) i debiti: all’imprenditore è richiesto invece di elaborare un vero e proprio piano industriale di rilancio, orientato alla continuità aziendale. Nell’occasione, il Tribunale di Verona ha negato le misure protettive ad una società sottosoglia che, di fatto, stava utilizzando la composizione negoziata al solo scopo di trattare un saldo e stralcio dei debiti e vendere l’unico immobile aziendale, senza alcuna reale volontà di proseguire l’attività. Questo tentativo è stato ritenuto abusivo, perché snaturava la finalità dello strumento negoziato.

Continuità diretta o indiretta: l’importante è salvare l’azienda

Le decisioni dei giudici non intendono escludere le piccole imprese dalla composizione negoziata, bensì circoscriverne l’impiego ai casi in cui può realmente fare la differenza nel salvare un’attività economica. “Risanamento” non significa necessariamente che l’imprenditore originario debba restare al timone: come detto, è ammesso e anzi auspicato che il rilancio avvenga tramite un investitore esterno o la cessione dell’azienda. Ciò che rileva è che ci sia una strategia per mantenere in vita l’impresa o parti di essa, evitando la dispersione del valore. Ad esempio, un piccolo ristorante familiare in crisi potrebbe cercare, con l’aiuto dell’esperto, un nuovo socio finanziatore o un acquirente disposto a rilevare e proseguire l’attività, preservando così i posti di lavoro e l’avviamento: questo è un caso tipico di continuità indiretta che soddisfa i requisiti del Codice. Viceversa, un imprenditore che intenda solo vendere macchinari e attrezzature per poi chiudere bottega (senza che qualcun altro prosegua l’attività) non sta perseguendo un risanamento nel senso richiesto – e dunque non può aspettarsi di ottenere dal Tribunale il congelamento delle azioni esecutive mentre porta avanti la mera liquidazione.

Emblematico in tal senso un altro provvedimento del Tribunale di Verona (decreto collegiale 16 giugno 2025, n. 3043, Pres. Attanasio) emesso in sede di reclamo: il Collegio veronese ha confermato che “la composizione negoziata della crisi d’impresa deve essere finalizzata al risanamento e non può consistere in un mero progetto di ristrutturazione del debito a fini liquidatori, anche se [esso] comporti una maggiore soddisfazione dei creditori rispetto alla liquidazione giudiziale”. In quel caso, inizialmente le misure protettive erano state negate dal giudice monocratico proprio perché il piano appariva troppo orientato alla sola estinzione dei debiti. Tuttavia, in appello, l’istante ha prodotto elementi nuovi: in particolare un’offerta irrevocabile di acquisto dell’azienda da parte di un investitore, con accollo dei debiti e immissione di finanza fresca. Questo fatto nuovo ha convinto il Tribunale che esistesse finalmente un “progetto di risanamento” concreto, dato che l’attività sarebbe proseguita in mano all’offerente. Pertanto il reclamo è stato accolto e le misure protettive sono state concesse, malgrado nel frattempo fosse decorso il termine di 120 giorni previsto dalla legge (i giudici hanno ritenuto ammissibile rimettere in termini il debitore proprio in virtù della pendenza del reclamo e della sostanza innovativa degli elementi sopravvenuti). E quindi uscimmo a riveder le stelle: grazie all’ingresso del nuovo soggetto, l’impresa sottosoglia in questione ha potuto intravedere una via d’uscita virtuosa dalla crisi, scampando alla chiusura definitiva.

Implicazioni pratiche per i debitori “minori” in crisi

Cosa insegnano questi sviluppi giurisprudenziali agli imprenditori sottosoglia sovraindebitati? In sostanza, che la composizione negoziata può essere uno strumento prezioso anche per loro – ma va usata con la giusta impostazione. Un piccolo imprenditore che avvia la procedura deve arrivare all’udienza in Tribunale con le carte in regola: un’analisi seria della propria crisi, un piano d’azione dettagliato e preferibilmente qualche manifestazione d’interesse da parte di potenziali partner o acquirenti. È consigliabile rivolgersi per tempo a un professionista esperto in crisi d’impresa, così da valutare la fattibilità del risanamento e magari attivare contatti con investitori (ad esempio tramite la rete della Camera di Commercio o degli OCC). Il messaggio dei giudici è chiaro: non si entra nella composizione negoziata solo per prendere tempo o per fare un piccolo “concordato liquidatorio” mascherato. Se quella è l’intenzione, meglio optare subito per altri strumenti (come il concordato minore o direttamente la liquidazione controllata ex L.3/2012) che, pur più gravosi, sono concepiti proprio per liquidare il patrimonio del debitore in modo ordinato.

Invece, quando c’è ancora un cuore pulsante nell’azienda – un mercato, un know-how valorizzabile, beni organizzati suscettibili di cessione unitaria – allora la composizione negoziata offre anche all’imprenditore sotto soglia una chance di salvezza. I vantaggi sono notevoli: si evitano le stigmate del fallimento, si può continuare a operare protetti dai creditori mentre si negozia, e si possono concludere accordi strategici (ristrutturazioni del debito, transazioni fiscali e previdenziali, nuovi finanziamenti prededucibili) con l’avallo dell’esperto e, se serve, del Tribunale. Tutto questo, però, richiede di predisporre un serio progetto di rilancio. Le recenti pronunce ci dicono che i giudici esamineranno con attenzione il contenuto del piano presentato: se individuano che è solo una lista di beni da vendere e debiti da stralciare, senza futuro per l’impresa, non concederanno le protezioni richieste. Al contrario, la presenza di un business plan credibile, di un’idea imprenditoriale sostenibile (magari ridimensionando l’attività, ma non azzerandola) e di soggetti terzi disposti a scommettere sull’azienda costituirà un potente elemento a favore della conferma delle misure protettive. In poche parole, la composizione negoziata per le piccole imprese non è un “fallimento light”, ma un percorso di recupero: chi vi si incammina deve davvero puntare a tenere in vita l’impresa, in qualsiasi forma.

Conclusione

La strada della composizione negoziata si conferma dunque praticabile anche per le realtà minori, purché animata da spirito di continuità. Le porte dei Tribunali restano aperte al piccolo imprenditore onesto e lungimirante che, prima di alzare bandiera bianca, cerca assistenza nel ristrutturare la propria azienda o nel passarla di mano a chi possa proseguirla. Al contrario, chi è già convinto di cessare l’attività farebbe bene a valutare altri istituti, evitando di incorrere in un inutile (e costoso) diniego giudiziale. Dalle pronunce analizzate emerge un principio unitario: la tutela del debitore in composizione negoziata è giustificata solo dall’obiettivo del risanamento. Questa impostazione garantisce anche i creditori e il sistema economico, perché incentiva soluzioni che mantengano valore, invece di disperderlo in procedure meramente liquidatorie. Insomma, la composizione negoziata per le imprese sottosoglia può essere un ancora di salvezza, ma va afferrata con l’intento di risalire a galla, non semplicemente di galleggiare ancora un po’ per poi affondare.

In tempi di crisi diffusa, sapere di avere uno strumento cucito su misura delle micro e piccole imprese è confortante: se usato correttamente, può trasformare situazioni disperate in storie di turnaround di successo. L’augurio è che gli imprenditori comprendano lo spirito di questa procedura e, quando possibile, lo facciano proprio: “Non tutto è perduto: finché c’è un piano, c’è speranza”.

Hai bisogno di assistenza o di un preventivo?

  • 29 dicembre 2025
  • Redazione

Autore: Redazione - Staff Studio Legale MP


Redazione - Staff Studio Legale MP -

Redazione - Staff Studio Legale MP